Nunzio Tria

Nunzio Tria
Io Contro

BEAT GENERATION


Sollevate il lembo della gonna, Signore:
stiamo andando all'inferno




La Beat Generation è stato un movimento sociale e letterario sviluppatosi negli Stati Uniti d’America, nei primi anni ’50 come reazione al modello di vita americano e ai valori di riferimento della società industriale moderna.
L’espressione Beat Generation nacque durante una conversazione tra gli scrittori Jack Kerouac e Jhon Clellon Holmes nel 1948. Stavano, appunto discutendo sulla natura delle generazioni e la loro, secondo Kerouac, non poteva che chiamarsi: Beat Generation, “Generazione ritrovata. Angelica”.
Fu lo stesso Jhon Clellon Holmes, con un articolo dal titolo “This is the Beat Generation” uscito sul New York Time, verso la fine del 1952, ad imporre all’attenzione del pubblico questo movimento che esultava l’individualismo anarchico, la libertà sessuale, l’uso dell’alcol e la droga quali strumenti di esplorazione della coscienza contro il razionalismo.
Tale movimento trovò notevoli corrispondenze nelle filosofie orientali, e determinò un vasto fenomeno di costume giovanile, detto Beatnik.
Emblematiche del movimento la casa editrice fondata a San Francisco dal poeta Lawrence Ferlinghetti e l’opera degli scrittori JACK KEROUAK, ALLEN GINSBERG, GARY SNYDER, WILLIAM BURROUGHS, LeROI JONES, DIANA DI PRIMA, GREGORY CORSO e tanti altri, tesa all’elaborazione di un nuovo linguaggio poetico.
Negli anni ’60 i cosiddetti Beat erano intesi come giovani protestatori verso il costume di vita contemporaneo. Tutti noi, credo, abbiamo sentito parlare o visto in qualche filmato il mega raduno pop di Woodstock del 1969… Ecco, quella fu la più grande manifestazione di protesta pacifista della Beat Generation, dove aderirono grandi gruppi musicali e solisti come i Rolling Stones, Led Zeppelin, Bob Dylan, Jon Baez, Janis Joplin, Jimi Hendrix e tanti altri ancora.


Allen Ginsberg nacque a Newark, New Jersey, da una famiglia ebraica e crebbe nella vicina Paterson. Suo padre, Louis Ginsberg, era un poeta e un professore di liceo e la madre, Naomi Livergant Ginsberg, era affetta da una rara malattia psicologica che non venne mai correttamente diagnosticata ed era anche un membro attivo del Partito Comunista e portava spesso con sé Allen e il fratello Eugenio alle riunioni del partito. Da adolescente, Ginsberg cominciò a scrivere lettere al New York Times su questioni politiche, come la seconda guerra mondiale e i diritti dei lavoratori.
Quando era un giovane studente accompagnò la madre in autobus dal suo terapista e di questo lungo viaggio, che lo turbò profondamente, scriverà nel suo lungo poema autobiografico, "Kaddish per Naomi Ginsberg (1894-1956)" insieme ad altri episodi della sua infanzia.
Durante gli anni del liceo Ginsberg cominciò a leggere le poesie di Walt Whitman e fu grandemente ispirato da questa sua appassionata lettura.
Nel 1943, si diplomò alla "Eastside High School" e frequentò per breve tempo il "Montclair State College" prima di entrare alla Columbia University con una borsa di studio ottenuta dalla "Young Men's Hebrew Association" di Paterson. Nel 1945, entrò nella marina mercantile per guadagnare i soldi per poter continuare i suoi studi alla Columbia. Qui Ginsberg contribuì alla rivista letteraria "Columbia" e alla rivista di umorismo "Jester", vinse il "Woodberry Poetry Prize" ed ebbe l'incarico di presidente della "Philolexian Society", gruppo di discussione letteraria del campus.


Urlo

Ho visto le migliori menti della mia generazione
distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche,
trascinarsi per strade dei negri all’alba in cerca di
droga rabbiosa, hipsters dal corpo d’angelo ardenti
per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata
nel macchinario della morte, che in miseria e stracci
e occhi infossati stavano su partititi a fumare nel buio
soprannaturale di soffitte a acqua fredda fluttuando
sulle cime delle città contemplando jazz, che
mostravano il Cervello al cielo sotto la Elevated
e vedevano angeli Maomettani illuminati barcollanti
su tetti di casermette che passavano per le
università con freddi occhi radiosi allucinati di
Arkasas e tragedie blakiane fra gli eruditi della guerra,
che venivano espulsi dalle accademie come pazzi &
per aver pubblicato odi oscene sulle finestre del teschio,
che si accucciavano in mutande in stanze non sbardate,
bruciando denaro nella spazzatura e ascoltando
il Terrore attraverso il muro, che erano arrestati nelle
loro barbe pubiche ritornando da Lardo con una cintura
di marijuana per New York, che mangiavano fuoco in
alberghi vernice o bevevano trementina nella Paradise Alley,
morte, o notte dopo notte si purgatorizzavano il torso con sogni,
droghe, incubi di risveglio, alcool e uccello e sbronze a non finire… …


Quello che avete appena letto è l’inizio di Urlo, di ALLEN GINSBERG,
tratto da Jukebox all’idrogeno (Guanda), a cura di Fernanda Pivano



Nota a Urlo

Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo!
Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo!
Il mondo è santo! L'anima è santa! La pelle è santa!
Il naso è santo! La lingua e il cazzo e la mano e il
buco del culo sono santi!
Tutto è santo! tutti sono santi! dappertutto è santo!
tutti i giorni sono nell'eternità! Ognuno è un angelo!
Il pezzente è santo come il serafino! il pazzo è santo
come tu mia anima sei santa!
Santo Peter santo Allen santo Solomon santo Lucien
santo Kerouac santo Huncke santo Burroughs
santo Cassady santi gli sconosciuti mendicanti
sodomiti e sofferenti santi gli orrendi angeli umani!
Santa mia madre nel manicomio! Santi i cazzi dei
nonni del Kansas!
Santo il sassofono gemente! Santa l'apocalisse del bop!
Santi gli hipsters di jazz & marijuana pace & streppa
& tamburi!
Sante le solitudini dei grattacieli e delle strade!
Sante le cafeterias piene di milioni! Santi i misteriosi
fiumi di lacrime sotto le strade!
Santo il juggernaut senza compagni! Santo il vasto
agnello della borghesia! Santi i pazzi pastori
della ribellione! Chi capisce Los Angeles E' Los Angeles!
Santa New York Santa San Francisco Santa Peoria e
Seattle Santa Parigi Santa Tangeri Santa Mosca
Santa Istambul!
Santo tempo nell'eternità santa eternità nel tempo
santi gli orologi nello spazio santa la quarta di-
menzione santa la quinta Internazionale santo
l'Angelo del Moloch!
Santo il mare santo il deserto santa la ferrovia santa
la locomotiva sante le visioni sante le allucinazioni
santi i miracoli santa la pupilla santo l'abisso!
Santo perdono! pietà! carità! fede! Santi! Nostri!
corpi! sofferenza! magnanimità!
Santa la soprannaturale ultrabrillante intelligente
gentilezza dell'animo!

Tratto da "Jukebox All'idrogeno" di ALLEN GINSBERG
a cura di Fernanda Pivano, per Guanda




Jack Kerouac

Jack Kerouac nacque da una famiglia di emigranti canadesi di condizioni modeste (Gabrielle e Leo Kerouac). La sua infanzia, come egli stesso scrisse[1] fu serena malgrado la morte prematura del fratello maggiore Gerard, avvenuta nel 1926, lo avesse colpito fortemente.
« Ho avuto una bellissima fanciullezza, mio padre era un tipografo a Lowell, Mass., trascorsa correndo giorno e notte per i campi e lungo le banchine del fiume »

Ricevette una buona istruzione elementare dai Gesuiti della Scuola Parrocchiale di St. Joseph a Lowell e nel 1939 si diplomò alla scuola superiore Lowell High School. Le sue prime influenze letterarie furono quelle di William Saroyan ed Ernest Hemingway.
Tra il 1939 e il 1940 frequentò la Horace Mann Preparatory School a New York ed ebbe accesso alla Columbia University per merito di una borsa di studio ottenuta per meriti atletici. Frequentò il College fino al 1941 e tra il 1942-43 si arruolò nella marina militare degli Stati Uniti.
Presto pentitosi ritornò a New York e cominciò a frequentare gli ambienti del Greenwich Village, frequentato da artisti, ribelli e bohémien, dove conduce la vita degli hipsters e dei beat.
Nel 1944 incontrò Lucien Carr, William Burroughs e Allen Ginsberg e sposò la sua prima moglie, Edith Parker. Nel 1946 conobbe Neal Cassady, un giovane che aveva fatto l'esperienza del riformatorio e aveva interessi letterari, che divenne per Kerouac il simbolo della vera emarginazione e fonte di ispirazione letteraria. Nel 1948 conobbe John Clellon Holmes e coniò il termine beat generation.
Tra il 1947-50 compì il primo viaggio attraverso il Nord America con Neal Cassady ed iniziò a scrivere Sulla strada. Dopo l'interruzione di una carriera sportiva a causa di un infortunio e nuove amicizie nell'area newyorkese, Jack Kerouac, esordì come scrittore nel 1946-48 con il romanzo La città e la metropoli ("The Town and the City"), che sarebbe stato pubblicato solo nel 1950 e che ricalcava lo stile dello scrittore americano Thomas Wolfe. Fu un immediato successo, ma pochi credevano nella sua effettiva permanenza nella sfera della letteratura statunitense.
Nel 1950 si sposò con la seconda moglie, Joan Haverty. Tra gennaio e aprile del 1951 lesse il manoscritto Junkie di Burroughs e Go di Holmes; in aprile completò Sulla strada in sole tre settimane; in ottobre elaborò il suo metodo di scrittura che definiva "prosa spontanea" e cominciò a riscrivere Sulla strada e il romanzo sperimentale Visioni di Cody.
Nel 1951 scrisse il romanzo che lo avrebbe poi reso famoso: Sulla strada (On The Road) che tratta del suo incontro con Neal Cassady e di quella che lui stesso definì la mia vita sulla strada alla maniera degli hobo. Questo romanzo, pubblicato solo nel 1957, fu classicamente definito il manifesto della beat generation, ovvero quel movimento culturale americano che gravitava attorno ad autori come Allen Ginsberg, William Burroughs, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Gary Snyder, Michael McClure, Charles Olson e ovviamente Jack Kerouac, che influenzò profondamente la società del tempo.
Tra il 1951-52 concluse Visioni di Cody a New York ed a San Francisco. Inoltre terminò Dottor Sax a Città del Messico; lavorò come apprendista frenatore e scrisse La terra della ferrovia a San Francisco; sua figlia Jan Kerouac nacque ad Albany, nello stato di New York. Nel 1953 lavorò a Maggie Cassady e a I sotterranei a New York.
Nel 1954 iniziò a studiare il buddhismo sempre nella Grande Mela e in California; scrisse San Francisco Blues a San Francisco, Some of the Dharma iniziato a New York e finito nel North Carolina. Nel 1955 firmò Mexico City Blues e cominciò Tristessa a Città del Messico. Nel 1956 finì Tristessa a Città del Messico e scrisse Le visioni di Gerard nel North Carolina; scrisse la prima parte di Angeli di desolazione a Washington e a Città del Messico.
Nel 1957 Sulla strada fu pubblicato dalla Viking Press di New York; in Florida scrive I vagabondi del Dharma. Tra il 1958 e il 1960 compone Il viaggiatore solitario. Nel 1959 raccontò il film Pull My Daisy a New York. Nel 1961 scrisse la seconda parte di Angeli di desolazione a Città del Messico, poi Big Sur in Florida. Nel 1965 elaborò Satori a Parigi e l'anno successivo si sposò per la terza volta, con Stella Sampas, e si trasferì da Hyannis a Lowell. Qui scrisse La vanità di Duluoz nel 1967.
Sono gli albori della sua prosodia bop, ispirata dall'amato bebop di Charlie Parker, Dizzy Gillespie e Thelonious Monk.
Nell'ottobre del 1966 si reca in Italia, dove tiene una serie di conferenze in alcune città italiane, facendosi accompagnare dal cantautore Gian Pieretti (che ha scoperto grazie alla segnalazione di Donovan).
Kerouac morì tuttavia a soli 47 anni a causa di un'emorragia interna causata dalla cirrosi epatica procuratagli dall'abuso di alcool il 21 ottobre del 1969 a St. Petersburg (Florida).
La città di San Francisco ha deciso d'intitolare allo scrittore una piccola strada (Jack Kerouac Alley) che da Chinatown porta a Colombus Street.

Blues

Parte delle stelle mattutine
La luna e la posta
L'insaziabile X, il dolore delirante,
- la luna Sittle La
Pottle, teh, teh, teh, -
I poeti in vecchie stanze gufose
che scrivono curvi parole
sanno che le parole furono inventate
perché il nulla era nulla
Usando le parole, usate le parole,
le X e gli spazi vuoti
E la pagina bianca dell'Imperatore
E l'ultimo dei Tori
Prima che la primavera si metta in moto
Sono una montagna di nulla
di cui volenti o nolenti disponiamo
Così di notte contratteremo
nel mercato delle parole.


Poesia

Il jazz s'è suicidato
Fate che la poesia non faccia la stessa fine
Non temiate
l'aria fredda della notte
Non date retta alle istituzioni
quando trasformate i manoscritti in
arenaria
non inchinatevi né fate a cazzotti
per i pionieri di Edith Wharton
o per la prosa alla nebraska di ursula major
no, statevene nel vostro giardinetto
& ridete, suonate
il trombone di mollica
& se poi qualcuno vi regala perline
ebree, marocchine, o vattelapesca,
addormentatevi con quella collana al collo
E' probabile che facciate sogni più belli
La pioggia non c'è
non ci sono più me
te lo dico io, ragazzo,
sicuro come un siluro.




Diane Di Prima

Diane di Prima (Brooklyn, 6 agosto 1934) è una poetessa statunitense della beat generation.

Nata a Brooklyn, studiò allo Swarthmore College. Di origini italiane, suo nonno materno, Domenico Mallozzi, è stato un attivo anarchico. Diane di Prima cominciò a scrivere che era ancora una bambina. A diciannove anni conobbe Ezra Pound e Kenneth Patchen. Fino al 1960 visse a Manhattan, dove prese parte al movimento beat.
La sua prima raccolta poetica, This Kind of Bird Flies Backwards, venne pubblicata nel 1958 dalla Totem Press, di Hettie e LeRoi Jones.
Nel 1962 conobbe il maestro Zen Suzuki Roshi, grazie al quale si avvicinò al buddhismo, praticando la meditazione. Dopo la morte del suo primo maestro, fu discepola di Chogyam Trungpa Rimpoche.
È una delle poetesse più attive della Beat generation.
Diane di Prima pubblicò The Floating Bear con Amiri Baraka (LeRoi Jones) ed insieme fondarono il New York Poets Theatre. Ha fondato, inoltre, la Poets Press.
Nel 1966 si è trasferita a Millbrook, entrando nella comunità psichedelica di Timothy Leary. Nel 1969 ha pubblicato il racconto della sua esperienza beat in Memoirs of a Beatnik.
Nel 1970 si è trasferita in California, dove vive tuttora. Qui è entrata a far parte del movimento Diggers ed ha studiato il Buddhismo, il sanscrito, lo gnosticismo e l'alchimia. È qui che ha pubblicato il suo lavoro maggiore, il poema Loba, nel 1978.
Attualmente insegna, ed ha pubblicato trentacinque raccolte poetiche. Una selezione di poesie è stata raccolta in Pieces of a Song, nel 1990, e del 2001 sono le sue memorie, Recollections of My Life as a Woman.

Unucleo - Nunzio Tria



Enucleo di Nunzio Tria
Campanotto Editore 2004
Prefazione di Carlo Federico Teodoro



Stretto, come un guanto
indosso attillato, un altro giorno
carico dell’istinto del predatore
determinato
identico a tutti gli altri
tutto il giorno

Nella più scomoda delle posizioni
a raccozzare scrigni d’oche selvatiche e giulive
e notizie di certe esperienze falliche
poco condivisibili;
e stravaganti teorie sulla libertà

Metti che fosse facile trovare
le bocche del cielo
e che esili dettagli potessero favorire
il cambio della direzione del vento

Metti che si possano mettere
colline
l’una su l’altra
e che questa riva
sia la deriva per questo mare

Metti che possa farla franca
per aver fatto disinformazione
e che
infine

potessi rompere finestre
con sassi incartati di poesie.

Metti che


___



Tempo fa credevo che
i palloncini colorati
nascessero nei prati verdi, gialli e marroni
e lo zucchero filato fosse
dei pezzi di nuvole caduti
su appositi bastoncini di legno

Che bello! Credevo che
l’uomo dell’organino fosse
una qualche deità, sovrano delle fortune

Ma poi, smontarono la giostra
e la mia macchina rossa col numero 24
non l’ho mai più rivista

E me ne andai, a mille distanze
da qualsiasi cosa, da chiunque
solo!

Ero tutto da rifare
inventare qualcosa che
almeno mi conferisse
un minimo di parvenza umana

E allora, giù:
bocche tette cosce fiche e culi
del magistrale del classico del professionale
dello scientifico e fino all’università;

alla parrucchiera alla procugina
all’operaia alla professoressa
alla catechista alla francese alla tedesca
alla coltivatrice diretta alla signora del lupanare
alla figlia di uno importante a una importante di suo
alle violentatrici di Momo e Gattinara a una che non si può nominare
a una con l’invaginismo
a quella con la vagina prensile…
Ero primo!

Ma non mi riusciva di piangere
Poi ho scritto, scritto, scritto…
lontano mille distanze
da qualsiasi cosa, da chiunque
solo!

Ero primo


___



A maggio ero
fragola sanguinante
puledro smanioso
leggendario

Vacillante tuttavia
nel respiro di cristallo
andavo per mammole e carrube
petulanti corvine
oltre i papaveri alcol
e le margherite psichedeliche

Osavo dove
il fosco ulcera dei rovi
si faceva più minaccioso
e i miei compagni
restavano indietro inorriditi
blatte

Sapevo dell’inviolabilità
di quel luogo dogmatico
di tutti quegli aculei
pronti a conficcarmisi demoni
nel costato

Grevi forme aliene assumevo
via e più
agghiaccianti estasi

Avrei potuto piangere nitido
lacrime oggettive
del mio sangue ricolmare
calici d’altari della misericordia

Ma l’organismo di un piccolo
semidio traslucido
è disadorno di strutture emozionali
non contempla alcun presidio difensivo

Miserabile anelito spasma
di un sogno cromatico sfavillante:
poteva
e può ancora
placare quest’immane strazio cronico
in bianco e nero?

Andavo per mammole e carrube


___



Seduto su uno scoglio
albume in burrasca il mare
osservo la deriva prossima
di un tenebro senza ritorno

e quest’idea d’influsso virtuale
che, al rovescio, m’assedia, mi svelle

Torna in ballo l’anamnesi del fu
l’indagine delle reità a ritroso
ne viene una summa d’inspiegazioni
tormenti

Ogni tentabile riscontro d’altra infelicità
resa tabù

Tra martire e despota, in me
una “roba terza” anela concordia

lustrandomi le ginocchia di lacrime.

Colliquazione cranica


___



Virente semisferico infuriato
d’opinata primavera
ventre gelido pervinca
sprofondo di legni, tesori, morti…
posto d’estive trasgressioni
memorabili suzioni
inspiegabili dissimulazioni

Alle creste minacciose
abbaia, dal colore incerto
un bastardino
Non c’è confronto in questa sfida
Molla cagnolino

Utilmente imbelle, mi tengo a distanza
declinando a un’altra casualità
- Chissà ch’io non viva un evo ancora? -

… Disforico, mi accendo un’altra sigaretta
e inizio a forzar l’inchiostro:

Che idea balzana il mare.

H. 17,45 aprile


___



Dicono che
di là degli alberi
ci sia il mare

Da qui
non lo vedo
dunque,
non c’è

Ma tutti esibiscono
il risultato della sfida
al buco dell’ozono
e salsedine

Alcuni con storie bizzarre
altri, banali
altri ancora, con storie
prodigiose di dominio

Ma tutti sanno di fritto
e putrefazione
vinti da quello che gli tocca
e da un mare che non c’è

Hanno piglio di candido vizio
piedi sgraziati e pance aerofaghe
Procedono goffamente austeri
nei loro indumenti griffati
tra i viali, sotto i pini d’aleppo
con aria zotica d’invincibilità
come se fossero al riparo dai tuoni
dai peccati…
dalla morte

Avverto un senso misto
di molestia e pena
osservandoli
e vorrei essere altrove:

nella casa dei delfini, magari
o con te
a fluttuare tra i petali di luce
Comunque via!
da questo enorme inganno

da quello che ci tocca

e da un mare che non c’è.

Torrida notte d’estate


___



Suoni irlandesi
il mio plesso solare invadono
e s’irradiano caldi e laceranti
nei budelli

I pensieri
sulle incertezze
cangurano nella testa
senza posa
eternando deroghe imbelli

Fisso l’insidiante
“Nuoce gravemente alla salute”
sul pacchetto del monopolio di Stato
delle macchie di sugo sulla camicia
e realizzo la generale carenza di virtuosità

D’incanto abbisogna una rimozione recessiva
della sbobba cranica
o un risveglio in una vita
più spettante.

Delle macchie di sugo sulla camicia


___



Un oboe sanguina a riva
una melodia ancestrale

E’ così che inizia il sogno

(Tra)guardo dal canneto
il lago di Winnibigoshish
Macabri Mammutones del Minnesota
implorano l’apparizione delle vulve ululanti

Si trasforma, in un illogico midollo
indaco-cremisi luminescente, l’acqua
Sortilegio! Sono nudo ora:
impatibile goffo flatulente

Metaforico l’intorno
in cupo terreno gommoso semovente
Una pletora d’incantevoli fanciulle
dai corpi sublimemente traslucidi
m’asserraglia e

sino all’inverosimile inarcati
così, che bene i pubi s’evidenzino
s’avvia turpissima una danza

Raggelante diafanità
di spalancate vagine a urlo
assordanti
turbinano minacciose a vertigine
… Unico scampo: la morte

Propiziamente in tempo dissonnato
sottratto a una stomachevole sorte
adesso, giubilante rifiato

Ma
nessuno cui possa far morire
in vece mia.

Cene pesanti notturne


___



So solo che vorrei
che nessuno morisse
specie in questa notte a Oriente

Notte su una strada in montata
che tira dritto nella luna
Di continuo deglutire avanzi di cuore
che rigurgitano in gola
Di luci in lontananza
vere, non come le stelle
lungo la costa desolata

Notte che il mare
disciolto al cielo fondo
finge di non vedermi
“omissioni reciproche”
Fingo anch’io
di non vedere lui
e me stesso

Notte in cui
tirar dritto nel baratro
potrebbe dar d’eroico.

Notte a Oriente


___



Danzami sui toasts
infinito embargo del sole

Domani vado in Messico
così,
anche se non c’entra nulla

Mi sorridi nella tazza del latte
e il latte sei tu

Considero le diverse modalità d’impiego
del coltello insanguinato di confettura
Dio,
il pane amaro
e altre cose a pois
che proprio non capisco

Vitamina C & psicanalisi
per dimenticare quest’estate
che non è stata un granché
e tutte le altre cose

Prometto alla cellula morta
-per due metà d’uovo sodo-
al burro, ai biscotti, al caffè,
al contenuto di questo pigiama
che tornerò come nuovo
sennò…
che si fottano tutti.

Domani vado in Messico



___



Ciccio, magnete

Sorriso dimesso
maestoso
venerato
Venerando dolore
avversato

Ci si mette anche il sole
a non esserci

Meno positivo
nel senso di
meno positivo netto!

Derubamenti
sprechi
pulpiti
Terremoto in India, fatiche d’amore
e articolari

Nevica al protocollo:
ciarlagini
balzelli, pedaggi, capocci &
vario merdume;
parenti
e cicorie da comprare

In più
il micio di Molly
è spirato tragico
tra i fili dello stenditoio

alle 8 in punto

Cicco, anarcoide
autocoatto
ostinato sottrarsi all’avere
Silenzi roboanti

Orrore! per uomini
&
uomini
che deflorano mamme
nelle automobili
in malefiche periferie
feroci

Immanenza, cerebralismo
& materia
confondersi, confluire
confliggere
farsi chimerico ballo
circa bello
sul ballatoio
intorno a un piolo fantastico
per divenire gravame cosmico
insostenibile nel tempo

Ciccio
soave meringa
naufrago
del piscio dei barracuda
Nume tutelare imperturbato
indifeso
Prodigo dispensatore
di soluzioni altrui
e del creato
teme l’affondo in sé
obiettando l’amor-lato
in strazianti disgiungimenti

Sul dilemma:
genitore della madre
progenie del figlio
aggomitolato
Creatura astrale patibonda
delicatissimo

Ciccio
sapere d’umore colposo
e quel suo naturale disappunto
per la morte…

imperituro
vibra.

Ciccio


___



Un giorno m’invento pittore
uno candela, cacciavite…

Un altro glossario, aminoacido
e ancora elisir, madre, capro
suicida…
senza conseguirne
successo alcuno, mai!

E’ un immane travaglio
questa vita che sgrana
frenetica come un rosario
nelle mani di un chi,
ancora da stabilire

Comunque, non equo

…E dieci undici dodici
tredici quattordici quindici
sedici diciassette diciotto
diciannove venti ventuno
e ventidue ventitrè ventiquattro venticinque ventisette
ventotto ventinove e…

3000


___



I giorni s’affrettano rapidi!
Come per paura d’esser presi

Così veloce è stato oggi
ch’è già passato ottobre
e io
ce l’ho tanto con Talete

Dove andranno mai così di furia
dove si nascondono?
Chi di loro ha preso le mie mucose gastriche
i miei capelli, le mie cartilagini
le mie figurine?

Sarà stato un martedì o un sabato
o qualche giorno altro che, a sorpresa, ZAC!
Ecco una verruca sul culo
o via un dente

Pare che molti di loro prediligano
svellere protoni, neutroni, elettroni…
Altri, trafugare sogni

Quindicimilaseicentotrenta circa
a far bisboccia del mio bottino
chissà dove?

Ignobili!

I giorni



___


Ma una mattina inferirò
con insolita gioia
un duro colpo alle mie congenite inclinazioni

Uscirò da casa
entrerò nel giorno
prenderò il sole, la brezza e il mio sorriso
e insieme
andremo a fare colazione al bar

Lieto di constatare che il mondo
non avrà da muovermi più alcun appunto;
che il cielo, la salute e i miei amori
non saranno più causa di apprensioni rilevanti

Che, tuttavia, il tutto apparirà
meno truculento
meno angoscioso…

…meno

Procederò, quindi, verso la collina
mi distenderò sull’erba
abbandonerò nelle terra, dalla bocca
pensieri impropri
degeneranti
e parole caustiche di resa

Tenterò l’affondo assoluto
-di circolarmi dentro-
per sentire l’immenso
delle situazioni minime

almeno una volta.

Una mattina


___



Sono pronto.
Stanotte mi sento splendido
necessario alla morte

Un cielo blu bigotto
di un nero petulante
si blocca a un filo
dalla mia curiosa ombra tridimensionale

a scoprire visioni
talenti latenti
dignità danzanti
Delirio!

Bambino mio,
fiore cosmico
piccolo tesoro disidratato,
sarebbe magico se non fosse
semplicemente dolore
Assedio!

Dispiego colonne d’oblio
scudi di silenzio
ritrazioni
noccioline
coni gelato… astenia
…sbadigli

sigarette…

Sono pronto


___



Dico solo che…
D’accordo, sarà che noi
si faccia parte di un grande disegno
straordinario, inestricabile:
precedere la placenta,
assicurare la sopravvivenza
della specie,
divenire in guerriglia una folla
alla periferia di sé,
stabilire persino il defungere…

Ma dove vanno i sogni?
E quel bambino della foto
con l’odore di battaglia e la pipa in bocca
dov’è adesso?

Forse c’è del patologico
in tutto questo meccanismo macchinoso
fumo
e parecchio svirgolate.

Dico solo che…


___



Notti fa avevo chiare intenzioni botaniche
ma, ignorando le distinzioni tra la flora
ripiegai su un certo grigio-marrone
di una vecchia baldracca alzheimeriana
in un tragico letto d’ospedale

Scotte e annerite, le grandi labbra
come trippa putrida in un canile vuoto,
sconfitte da molteplici e più scambi d’abissi
la cri ma va no

…E poi, si sa:
i pensieri son come le ciliegie;
nella mia fattispecie
abbastanza marci
Non si tirano mai l’un l’altro gioiosi
in un ordine logico, razionale. Anche
politicamente scorretti sono

Mi chiedo:
Quale follia genera la difficoltà di
mettere le cose nella loro giusta prospettiva?

Vorrei avervi qui, TUTTI
per stabilire se questo è dovuto
all’assenza dell’anticiclone della Azzorre
o è semplicemente
puro stato di grazia
di una notte uterina?

Abbastanza marci


___



Io
ora
sono
plurale

Punto Mistero Trappola

Urgenza di un soffio
nel soffoco immancabile

In un adesso continuo
a margine del giorno
mi faccio tuo

Che vengano pure, poi:
cani ventriloqui
dame alga
gesuiti fax
robots liquidi
l’ipocondria…

Però,
pure la pioggia

e arcobaleni.

Che scemo


___



Sei tutto all’esterno
e questo è male

Ascoltati. Circola in te

Non aver paura di riportare
il fiume alla neve
il pane alla terra
la carne al seme

Non aver paura
di rifare la fatica

Non aver paura
d’aver paura

Donati al tuo dono
mettici qualcosa di buono
mettici qualcosa di santo
mettici qualcosa di tuo

Mostrami come si fa,
io non ci riesco.

Ascoltati


___



Ho associato, per 2/3 della notte
il suicidio al samba
mettendo in serio pericolo
il baricentro, da steso

Il buio, è una sorta di
coscienza chiara,
giudica
rampogna
insinua: Vietato fumare…
e toccarsi lì.

Rimena possibilità remote
antichi strazi e afflizioni
per un giorno che sta
per violarmi gli spifferi

Nell’ultimo terzo ho pensato che
forse
la vita
è una breve premessa
a un qualcos’altro;
il resto…

ben zuccherato, grazie!

C’è altro oltre?


___



Per l’uso improprio delle parole
non dette

Per le cose che vanno nell’esatta
direzione opposta

Per come entriamo nell’esistenza
e per come ne usciamo

Per la nostra incapacità di stare
in piedi
Per la nostra incapacità di stare
a terra
Per la nostra incapacità
di stare

Per tutti quelli che hanno un sogno
e per tutti quelli che non ce l’hanno
Per i secondi, che ostacolano i primi
Per dindirindina!

Per la piega malinconica
che ha preso questa nottata

Per la disubbidienza
alle prescrizioni mediche
Per i 14 cadaverini
nei sotterranei del convento di clausura
Per le 280 sigarette settimanali

Per Dio, come ti amo

Per come albeggia in Tanzania
Per averti procurato dolore
Per le infiltrazioni istituzionali nella mafia

Per come è bello guardarti dormire

Per le banche e i supermercati chiusi… chiese… case..
e i riccioli fuxia di parrucche di carnevale
e calze a rete smagliate
competitività
ragnatele
sindacati
fard e pessimo vino
pollivendoli e pentolai dagli effetti speciali
globalizzazione e tamburi tribali
e nodi scorsoi e nano Curie
e spari e stelle filanti e coriandoli su questo rancido mondo suicida e…

per
come
mi
sento
IDIOTA
nella
luce
fioca
di
una
candela

Per aver messo il dito nella presa della pastiglia

Per averti sottratta al corso per infermiera
e portata all’inferno

Per non aver vinto il premio bontà, nel ‘69

Per le tue carni vincenti
sulla forza di gravità

Per queste mie frequenti dissociazioni: mongolfiere crotali e
schiuma di polpo
infibulazione
tetano
mangrovie
acqua pesante
organi roventi
sovraesposizione e concetti geriatrici
dissipazione di cuore di mamma dietro un armadio alle 2 di notte
mentre la città dorme sogna sta male scopa e muore
sotto una pioggia insistente

Per l’autoerotismo di gruppo, in soffitta
con gechi e scarafaggi smarriti

Per come saranno decomposti, mio padre
tuo padre e i padri dei nostri padri
e tutti i morti viventi…

E anch’io, sto un po’ da schifo

Per come ti muovi al buio
e fai pipì nella notte
senza il minimo rumore

Per Pasqualino & Terry
sgozzati nel retro di una macelleria
alla vigilia della festa patronale

Per come sei pane, ossigeno
e tanti deliziosi giuochini top secret

Per i miei lividi dentro

Per tutta quella gente promossa a Santo
ma qui, pare che
la situazione stia senza rimedio precipitando

Per come, in silenzio
sanguinavi del mio smarrimento

Per la mia fottuta voglia di scrive a… Rita Onnuzi
e al sangue remoto
al barbone sulla panchina del parco
a Celine e a quell’angelo bastardo di Hank
alle merendine O.G.M. negli zaini delle generazioni future
ai soggetti orali a quelli anali e agli ermafroditi
alle vaghe donne che dicono il rosario sull’orlo dell’abisso
ai rapitori di arcobaleni
ai cosmonauti che non hanno fatto più ritorno
a rollerina e ai rappers di Chicago
e ai miei figli che si accingono al volo
alla neve sul davanzale
alla barriera corallina e al vento nel deserto
ai seguaci di diamballa
ai citofoni di una qualsiasi città dell’Indocina
e a quanti sperano
che tutto
non sia tutto qui…

e
alla
colonna
di
formiche
che
scompare
in
un
piccolissimo
buco
ai
piedi
di
un
fiore.

Per dindirindina!



___



Stop! Débàgle
Crolla indosso

nei chacra, nei vicoli
a pagina 45
circolarmente

Se non bastante, m’attiro raggiri
artrosi, trafitture, brighe
un tantino di kitsch glamour…
et voilà!
Eccomi sul secrétaire
d’un’impaga massaia canicolare

Pagine e carne di fronte
due poca cosa a confronto

Mi desse fuoco almeno, no!
Mi stazzona tra le gambe e la gnocca
e mi spagina via…

Quindi, in cucina: bourghignon
en petite tenue, capezzoli fumanti;
ingoia cognac atomica
telefona elettrica al lattaio

… grovigli, latrati, spropositi

abluzioni.

Per un libro mai scritto


___



Volevo cadere

come casualità

ovunque


Spegnere, fecondare Marte

e ricominciare


Ammansire confessioni, asteroidi,

calamità, influenze astrali ostili

e di più,

solo

per piacerVi.

… per esempio


___



Arduo il tentativo del pesce lesso-sguardo

Tutto andrà in rapida putrescenza
Sconsiderato il gesto apneico

Istanti precomatosi color malva rigido-follia

E la mente si concentra sulle sventatezze:
Che ne sarà dell’ape regina
e del suo terzo figlio, avuto
forse
dal ballerino di mazurca
nel cesso?

Insinuo me
standomi di fronte
come se tutto fosse il mondo
e niente lo sfondo
maledizione!

Andromeda e io
contromano
verso il bacio deflagrante
Padre di tutti gli orgasmi

E la cortese discrezione di Dio,
che non distenebra
non sussidia
non protegge,
m’incollerisce un po’

Ancora un attimo
-inevitabile collisione-
il coma ha i minuti contati!

Nessuna contropartita
niente che tenga
neanche l’ubbìa della metempsicosi
l’odore tuo d’animale
la forfora che scompare
un frappé cosparso sulle tue geometrie erogene
la tua superba oralità
e le mie dita asperse del tuo sollucchero

una sigaretta, un caffè
con un accenno di crepuscolo
riflesso sul cucchiaino

neanche!

Piove e sanguino


___



Ho tormentato fiamme di mille candele
parlando ad altrettante notti all’inconsulto
da solo, col muro, col mare… con Dio

Ho corroso alluci, talloni
impronte digitali, esofago, fogli, respiri
inseguendo la linea e l’elicoidale del fumo
sperando con esso di rarefarmi
Mille volte da te ho preso commiato, amor mio
dormivi

Cosce lisce. Silent. Bianche bisce
Pelo in gola di brace (Obnubilato)
Pile di fogli di sbaraglio (Tribolato)
Ritmo del bisturi partigiano (Frodato)
Oh che bel garbuglio! Pessimo lascito scorso
Ecco i segni del sisma, qui, somatizzato
nella cavità del torso

Derisorio, esatto, perseguitante il giorno
con la sua pelle luminosa, bello
a snidarti tra i lenzuoli di percalle
e aspergerti il suo panico puntuale
Evento rapido usurpante, perfido
artiglia la notte e la ingolla, la fotte

Obbliga la ragione insulsa
reclama la forma, l’omologo, l’adulterato
occulta gli inganni, gli strazi, gli amanti
vincola al maturo posticcio, alla scelta dissimulante
oblitera finanche l’onirico

Pertinace la sua collina, statica
persino ad oppilarmi quel micro d’estasi del mare
Finestra-video-kitsch

Coi suoi bipedi balordi, tra le nuvole basse
al dop’alba, in corsa, che s’avviano a mimare
un’inesistente esistenza

T’affretta per tutto il suo tempo,
-e tu (trito di palle) non sei mai in tempo-
coi suoi cronometri, i suoi almanacchi
i suoi veleni i suoi intrighi, i suoi calappi;
con le sue campane, le sue trame, le sue puttane…
Abiezioni plurime quotidiane

Ti prepara il varco già fuori la porta
con tagliole, insidie, supplizi, sudiciume
tossicità

E tu
vorresti solo tornare a letto
averla ancora nella mano
berla ancora…

e continuare con fette biscottate, burro
marmellata di mirtilli e mammelle.

Mentre il telefono continua a squillare


___



Sagoma confusa
nell’albugine d’ottobre
a fare il conto delle donne

Sono duplice

E non ricordiamo
i giri del pallottoliere
i nomi, le scene

E’ stato così doloroso

Volti che non tornano
Passioni unilaterali
archiviate ipso facto
Chissà se sono al calduccio ora?

E’ tutto così perso

Ci sovrapponiamo
in un unico profilo
più verosimile
più percettibile
più disegnato da un’ancestrale tormento

Sono fatto d’utero e irriverenza.

I nomi, le scene


___



Non c’è verso di farla uscire
Questa notte, non viene

Pensavo di avercela tutta qui
dentro
E invece, eccola lì
fuori

che, inverso, mi entra
piano piano
scarnendo inesorabile
parola a parola

La prima è GRANDUOMO
che si piazza in piena fronte
-e il senso non è certo letterale
neanche a forzarla- come un
proiettile esplosivo che assolve
appieno il suo compito devastante

La seconda è MERITO
Dritta nel pomo d’Adamo
come una lama da scherma
precisissima
Quale merito?

La terza è META’
Fiocina da pesca d’altura
in pieno esofago
Metà: contraddizione per antonomasia
diplomazia somatizzante
Qualsivoglia cosa, divisa a metà
-esitanza perturbante-
è una non cosa

La quarta, sarebbe Dio:
tra le parole, parola più alta
Non sono mai apparso
a questa parola
ed essa, si guarda bene
dall’apparire a me
Fascio di magma incandescente
dal pancreas alla milza all’inguine e
più giù
all’origine dell’esito
di tutto questo orrore
Dio buono in ogni tempo
in ogni luogo
alibi per ogni forza
e smarrimento

Ecco una sequela di parole
parole…
Parole oltraggiose, mortificanti
ultimative
scagliate da non so chi
o cosa
da ogni direzione. Plotoni
di parole

E’ un lampante attacco concentrico
un’esecuzione sommaria intenzionale
a mezzo vocaboli:
uniche armi oltremodo efficaci
con consonanti a coppie, le più letali

L’ultima è PASSATO
Tritacarne a cubitali
Tuono del fuoco sacro congenito
Scaturigine della deflagrazione ciclica
Passato, che non vuole passare…

Ma
adesso
ho te
che mi indichi la direzione del mare.

Parola a parola


___



Con le spalle curve
sotto una serata che
le montagne organizzano l’inverno

…e tutti
e tutto
sembra un pecorame indignitoso
vago…

Povera Luigina, tisica e insonne
molestata dai nostri vengo! a catena
E le risa, poi, in bagno
dolcissimo miele… squaw!
Miele dolcissimo fino a giorno

Sole ortogonale, uova alla coque
prosciutto di un tal santo. Nudi,
a brindare ottimo porto
e io che fingevo di morire

Che balengo! dicesti, magica
ballando su briciole di pane
e frutta evocativa

Saremmo rimasti lì
ancora un attimo
un altro millennio

fino al fondersi della casa.

Vago


___



Tu,
che non ci trovi nulla di magico
nell’aspettare l’alba marina
con me, sotto l’asciugamani

Che quando c’è una notte così
la smonti con la bolletta della luce
scaduta da quattro giorni

Che quando ti proclamo
miglior culo di Puglia e Piemonte
vorresti telefonare alla neuro

Che quando sono preda di
invereconde vasodilatazioni
a causa del tuo sorriso, non la bevi

Che non approvi la mia visione
del mondo, dell’amore, del sesso
e mi dichiari svitato

Tu,
col tuo piglio assertivo
il tuo pragmatismo domestico
la tua austerità muliebre,

hai reso la mia esistenza
più sopportabile.

Non cambiare


___



Che poi, è difficile
conversare di poesia
da seminudi
Stabilire liriche, madrigali
Chi i cantori, chi i bietoloni

Vibra l’aria, pregna di noi
sbatacchiati in questa vita
che non volevamo
gratuita
indebita
faticosa!
Con un passato che
per nulla meritiamo

Ma stasera voglio perdermi
tra le crespe dell’arriccio del tuo naso
nel tuo sarago sotto sale
nel sommo tuo pianto orgasmico

Trasbordare queste gambe, queste spalle
quest’incantevole piglio e il tuo dentro
dentro di me, se vuoi?

E che pazientino pure
sino alla di noi integra rifusione
poeti, prosatori e viventi tutti

noi
siamo altrove.

Se vuoi?


___



Darei tutte le cose
cui tengo di più
e rinuncerei a tutte le altre
cui anelo ancora

per sapere come fai
a creare dei colori così
nei tramonti e nelle acque?

Come fai
a perpetuare l’ubertà dei fiori e delle terre?

Come fai a fare stelle
e occhi così
che mi commuovono?

Come hai fatto a fare tutto
e UNA così,

che mi perdo?

Un biglietto per parlare con Dio


___



Bello
slalomando tra i ciliegi
violoncello
Rincorri opossum
mangiando lardo e schnapps, nuda

Vorrei tanto battermi
col pulviscolo atmosferico
talché nemmanco ti lambisse

Bello
Sudore sul pavimento
La persiana in rosa sgangherata
ti zebra fasce di cielo oro-figodindia

Voglia di abbattere i muri
perché, tutti
e lo ripeto:
ti vedessero, ti palpassero

Bello
Guizzi tra l’argento
nel cono di luna sull’acqua
ti tocchi dove m’imbabbeisce…

Adesso, vieni
ho rinunciato all’idea del suicidio
accoglimi nelle vene del tuo collo
intanto che godi
e risorgerti meglio

Bello
Lassù, egli ha deciso
di lasciarsi andare, stanotte

Orgiano pianeti a grappoli
e stelle

e buchi neri

e santi

e così via…

Della confusione


___



Un lago
Noi,
due cappelli di paglia

a pescare lattine e nuvolette
e scambiarle con una sbirciatina
sotto le tue sottane

Mi piaci tanto, perché
ti piacciono tanto i tramonti
e parli tanto alle piante
e mi stai a sentire

Noi, che ci diciamo
quasi tutto
e balliamo perfetti
potremmo darci ad altre occupazioni
adesso

Sono stanco di remare
fermiamoci in questo blu.

E mi stai a sentire


___



Era così insolito, inverosimile
irriguardoso, forse
ma così anima(le), così adulto.

Considerato!
Fino alle lacrime,
conteso!

Colpire gli Dei sotto la cintura
soverchiare le loro bieche trame
su di me.
Un’epica sfida: quelle irruzioni
nelle reciproche carni,
quelle emulsioni, di sangue e
liquidi altri, notturne a Dehli
sullo Yamuna.

Il vicendevole bersi in circospette
pratiche orali, tra i castelli della Loira.
Quelle persistenti sfrenatezze d’Egitto
dove apprendemmo la differenza tra
cammello e dromedario, fellatio e
cunnilingus.

Taurini, poi, davanti all’Oceano,
nei tramonti dell’Algarve e nei
colori di Spagna, svettavamo i sessi
in altri cimenti…
Vida por los ojos

Irriguardoso, forse
ma così anima(le), così adulto.
Considerato!
Fino alle lacrime,
salvato!

Pelle d’oca, al buio, per le distanze
o di un brusco destarsi.
Mio imprescindibile amore
tanto da esigere fiori d’arancio e propositi riproduttivi
riproduttivi
riproduttivi
riproduttivi

… mi hai figliato
costellazioni.

Breve storia di un lungo viaggio


___



Impossibilità
di seta
sul tuo corpo, e di perle…

Di poterti donare un roseto
anche se minuscolo, e un massaggio ayurvedico

Di sbendarti in Nepal, su un risciò
far shopping d’essenze, e di una cavigliera d’oro e ambra

Di nascondermi nei mercatini
spiare la tua tenera agitazione
e riapparire con un fiore di iuta

Di offrirti un tocco di Tibet
dove, in pace santa
poterti solleticare la pianta dei piedi

Di concepire un’idea
non necessariamente geniale
che riesca ad imbroccare
gli errori dei miei labirinti

e poterti conservare luce.

Sbendarti in Nepal



___



Aloa, cucciolo
paese delle meraviglie
I piedi sono il tuo debole
la tua forza. E’ già inverno
mettiti le scarpe

Sto per centrare
i tuoi funzionamenti
Sono quasi all’ultima frontiera
della montagna del sogno

Buona giornata
e buon cammino a te

con gli ultimi strati
di cipolla, con l’uso
meno frequente di
aggettivi qualificativi

Buon lavoro
con gli eccessi verbali
in riduzione

Cogli il beneficio di queste
positività inaspettate

Notte serena.

Sorrisi


___



Cosmica assertrice d’utopie possibili
sospesa
conscia
nel vuoto
a guisa di guerrigliera dello starci

Caduta a brandelli
con quella sacca di fiele
colma d’orme d’algie

Piccata alla smania dell’esanzionante salto
per divenire araba fenice ancora
ancora più bella

mio nutrimento.

Salto


___



Chiudi gli occhi, mia sciamana
abbiamo sanguinato da Cristo
per secoli, nelle imboscate e crolli

dalle latitudini al pianerottolo
il Male ha indossato vesti forbite
tante, quante le nostre ferite
Lubrico belvario

Il drago piumato, alato
è indotto a dissenteria, jellato
non noi all’inginocchiatoio
Polistirenici coccodrilli colano
lacrime di dentro
Propinqui all’implosione idrenica
per noi, che si vola sull’ottovana

Dormi sul mio petto

tuo sciamano.

Sciamani di noi


___



Ossessa scansione
a perdere
lungo queste distanze
tra astrazioni e scadenze

In ogni tempo, lì lì
a un passo da tutto
e da niete

Sarei stanco!

Mai non vero, però
da sempre
e in più, ora
completamente nudo

grondo di zavorre
e di mosche
a pieni pugni
davanti a te

aspettando un bacio.

Sarei stanco


___



Il sapere ha una precisa funzione: dimostrarlo
E da ciò, ne deriverebbe il potere. Magnifico!

Allora, grazie di non sapere
cose che non so
compreso che oggi è Pasqua
Anonima mattina di normale bruxismo
… negazione del mite

Sembra basilare l’odierno quesito: Quale
utilità, per l’esistenza, offrono l’uovo di
struzzo e il Punto G?

Quello che so di certo è, che
uno dei due organismi è monocellulare
l’altro no!

E così, lo sviluppo della mia soggettività
è palesemente compromesso

La conoscenza meno che approssimata
degli argomenti in esame
m’infligge un oggettivo detrimento
esistenziale.

Ma se lo struzzo ficca sempre la testa
dentro la sabbia
e tu, sempre nei tuoi ricordi, nei tuoi
dolori, nei tuoi segreti…

allora, grazie davvero
di non sapere cose che non so
compreso il tuo Punto G
e che oggi è Pasqua. Accidenti!

Quasi metafora


___



Ho visto rotolare sull’asfalto
in una foglia
l’estate

In affanno, sgomenta
schivare tacchi di donne autunnali
perfettamente depilate –ruote,
carretti, camions, cingoli… astronavi-

Canzoni nella stanza necessaria
tra le nuvole –nutrirsi di sole,
seme, saliva- Tutto il cielo nel
buco della serratura. Meglio dei
tempi dell’incanto, quando bastava
aprire la porta per impadronirsi
del mondo. Libero! Dio era secondario.

I muscoli delle cosce sono di roccia fusa
alle tue di puro velluto
Alleati del mare e degli anticorpi
spariamo gioia a vista. Sfavillanti

Abbiamo invertito il senso del peccato
Pecca chi non s’ama

E questa volta
non ci lasceremo far bruciare
Dunque,
preludio a non rinunciare.

Nata da una foglia in pericolo



___



Io vi parlo di un a notte
cui nessun congegno
può rilevarne il tempo,
simile a un porta bon bon
pieno di mosche cotte
sotto una lampada al neon

Io vi parlo di un passato
cui nessuna memoria
può tradirne il senso,
simile a un pupo di latta
sbalzellato a calcioni
tra luridi fiori di carta

Vi parlo di una sigaretta
di lacrime e domande
fumate in fretta
dell’eskimo a brandelli
gli adorati guru
e le dottrine ribelli

Io vi parlo di una donna
cui nessuna dea
può recarle danno
simile a un bunker di caramello
tra diurna broda d’uggia
e lenzuoli di duello

Io vi parlo di una vita
cui nessun uomo
può mancarne il fato
Di una morte
asserirne il lampo
Di un Dio
averne il provato.

Vi parlo D’io


___



Ciascuno sepolto pressoché da simili sovrastrutture
Vittime spontanee di logiche vittimistiche
Sofferenza di culture della sofferenza
Sguardi e capezzoli e fughe, rimpianti
e giochi così naturali, da averne paura e rinunciare

Di tutte le genìe, nessun occhio è sereno
Ciascuno è dedito all’implorazione dell’indulto
dopo aver smarrito ogni traccia di sé
in cento chiese

Li osservo agire, tramare
Ciascuno, martire del proprio agguato, adirarsi
e guerreggiare
e produrre grandi esplosioni, deserti,
inanimità…

E io sono nudo, accanto a te
nuda nel buio

che vuoi che metta un disco.

Nuda riflessione



___



Chiamami
Chiamami forte
perché io possa sentirti

Chiamami stella, drago, fontana
Chiamami ombrello, nella furia, in volo
Chiamami nello sprofondo, capricorno, respirando
Chiamami

Chiamami in pantofole, al mare, di notte
Chiamami nella nebbia, al dovere, piccolo
Chiamami al telefono, Vangelis, imbranato
Chiamami

Chiamami mentre parlo di composizione, del Burkina Faso, mentre mi rado, mentre mi danneggio, Chiamami!

Chiamami quando il vento ti scopre le gambe, quando nevica, quando prepari frittelle, quando hai voglia, Chiamami!

Chiamami
Chiamami in disparte, rivelami l’arcano e baciami
Chiamami nuda, al talamo d’amore uccidimi

Chiamami

Chiamami forte
perché io possa sentirti

Chiamami perché sia subito poesia

perché io
non sia mai poeta.

Chiamami


___



In tiro l’addome
bella smorfia
di morso di labbra
per l’affondo

Rivolo di miele dal creato
Vibratilità
da oscurare la luna

Vorrei urlare qualcosa
ad ogni spinta/colpo
e dare l’anima
per quello che stai pensando

Cellule, fusione totale
massimi turgori
Aneliti e silenzi che precedono
il compiersi del miracolo…

Esplode il volo…!

Bella smorfia


___



Dimmi cosa vuoi che ti faccia
adesso?
Cosa preferisci?

No! Non dire sempre
che va bene così,
che così non è.

Dove vuoi che ti tocchi, ora?
Cosa vorresti sentirti dire?

Fammi capire se ti va una sconcezza
adesso?
Cosa agogni? Parla!

Non posso traslare i tuoi
silenti ansimi,
codificare il tuo svelto palpebrìo,
i tremori;
dunque, parla! Scombinami.

Non posso esser più
di quel che sono
e col tempo, lo sarò sempre meno.

Ti prego, adesso, parla!
Aiuta il mio incedere
a non deluderti

Vedrai, io, poi
posso rimediarti
oceani verdi calmi
suoni della foresta al mattino

e giochi di carta
che possiamo colorare
insieme.

Adesso parla


___



Ho riposto nei tuoi occhi,
faro propizio al mio naufragio
luce incorante allo scampo degli accessi
di questo mare turbinoso e salato,
l’assegnamento dell’ormeggio
alla costa sicura

Nella tua bocca, al bacio di resurrezione
ho riposto la fede di un recesso terapico
e protettivo

Sui tuoi seni d’eterna pubescenza
ho riposto la promessa
al senso tuo di generatività
a ripago del mio scompenso materno

E sul ventre tuo immortale
ho riposto il felice presagio
dell’invocato abbandono alla vita.

Per sempre


___



4 eterni giorni d’afa
in mutande
mari invitanti, astrusi laghi, montagne intriganti

Maledetto tubo catodico:
una sequela di fresca licenziosità.

700 milligrammi di morniflumato
tra la Florida e il Madagascar,
per via anale
e
1148 di amoxicillina triidrato
tra Santorini e the tropical forest,
a deglutizione diretta.

Simplex: tradimento ciclico;
inspiegabile complicità dei
gangli spinali.

Mi trasformo, sudo, sogno… Autocombustione!

Non devo lamentarmi,
ho fatto un corso di dinamica mentale
dunque, so come reagire.

Nel caso, non dovessi farcela,
tu
non tener conto di questo Ti amo.

Colpo d’aria


___



Librarsi sembrava inebriante
e così, volavo
cercando sofistico d’eludermi

Aleggiavo alto, inespugnabile
al di sopra d’ogni miseria
d’ogni soggettività
al di sopra d’ogni veleno

Ma questa è un’altra storia…

Adesso, la novità di rilievo è
che il cielo è caduto!
Alle 7 di sera

Catastrofe senza fragore
tuttavia, definitiva
senz’appello
precipitato

Lasciandomi con tutte queste nuvole
in mano, che non so dove appendere

E la testa come pestata
da un batacchio di campana
Il cuore come compresso
su un letto di fachiro

E tutto il resto, duole anch’esso
dalle labbra al poro più discosto
Finanche il cazzo, strambo
a fitte mi dà tormento
ma, io
non mi lamento.

La novità


___



Cara,
un organismo cellulare complesso
è fatto apposta per non funzionare
se non alimentato da fonti esterne

Un po’, come i telefonini
un po’, come il mondo
un po’, come noi

L’autoriproduzione energetica
è un’eresia conclamata!

Non ricordo, se t’ho mai detto
che hai un culo stupendo
o è così, perché t’adoro

In ogni caso, adesso
ho rimediato
Ma resta sempre l’imo desiderio
di violarlo

Sai, non è molto edificante
aspettare che lo facciano
gli ascaridi, i lombrichi, gli anellidi…
Ogni culo è atteso, pressoché
dalla stessa fine

Ho acceso candele bianche
arancioni, blu
verdi candele
ed ho rinviato sine die
il mio colpo di stato
Questo 2001° inverno
non presenta sostanziali differenze
dagli altri
Piove acqua e disperazione
dappertutto, come sempre

Gli uomini,
fatte salve le dovute eccezioni
hanno sempre gli occhi spenti

Le donne,
salvate anche qui le eccezioni di dovere
sono sempre prede della sindrome del
principe azzurro

Dunque, niente di nuovo.
A parte, un diffuso delirio bovino
spongiforme
e la nota tragedia di vicolo delle dalie,
tutto è come prima

E così il tempo, inconsulto
cerca d’affermare un’improbabile imparzialità
tra i paralleli
Di qui, le mie fondate ragioni
del dissenso

Mia adorata,
non ricordo più il motivo
per cui ti sto scrivendo
Forse, è solo un fatuo tentativo
di sottrarsi a questa profonda tetraggine
o
forse
non è altro che

un generico niente.

Un’e-mail all’amata


___



Vedo
Sento
Respiro
Cammino
Vivo
Amo
Sogno
Scrivo…

per guadagnarmi l’inferno


___



In stormo a farfalle
trasvolo ideogrammi
qua e là

E’ il primo respiro di luce
dopo il feed-back nero pece
dell’atavico strappo

Un tentativo d’esorcismo alla resa
la desublimazione delle atrocità

E tutti
e tu
così razionali
così esigenti
su quel poco che resta
di me:
scempio del presunto

… Dal troppo amore
muoio di voi.

Quel poco che resta


___



Uno scatto della mano
un’azione semi ellittica
non particolarmente lesto
ed eccola nel pugno
presa!

Apro lento la mano
e la vedo
tra la linea dell’amore
e quella della vita
A pancino in su
muove la zampina
l’anteriore destra
e un battito lieve
d’ala sinistra
Respira a fatica
vedo i suoi occhietti
esigui e interrogativi
fissarmi

328 11109++

“Pronto?”

Sono io… Si, ho fatto aerare casa… Come va?”

“Ah, non me ne parlare! La scuola si è trasformata in un muro del pianto. I bambini di prima sono ingovernabili, ma anche tanto carini”.

Lo comperi tu il pane?... Io non ho voglia di uscire stamattina.
“D’accordo. Ma guarda che non ti fa bene stare sempre rintanato in casa”.

E dove vado?

“Ockay. Ci vediamo a pranzo, allora… Ti amo”.

No no, aspetta!... Volevo dirti….

“Cosa?”.

No, lascia stare… è una stupidata.

“Ma dai… dimmi che c’è?”.

Niente… Ti ricordi, a luglio, ti dissi: Se non muoio quest’estate, non morirò mai più…

“Ha ha ha… sì, che mi ricordo… Matto da legare, e allora?”

Beh. Mi sbagliavo.

“No. Non dire queste cose. E’ un periodo così… Passerà, vedrai. Tu sei forte… Abbiamo affrontato momenti ben più duri…”.

Sai cos’ho nella mano, in questo momento?

“Cosa, Nu!... Cas’hai in mano?”

Noo… Stai tranquilla. Nella mano ho… una mosca.
“Una che…?”

Sì. Una mosca. L’ho presa al volo… e mi è venuto di telefonarti.

“Bravo! Hai visto che sei in forma?... Prendere una mosca al volo, con la mano, esige una buona prontezza di riflessi…”

Ma no!... E’ solo che, in questo periodo, le mosche sono più lente…

“E tu come lo sai?”.

Non lo so, ma sento che è così. D’altronde, siamo a novembre.

“E che succede a novembre?”.

Niente. Come vedi.

“Dai, tesoro… tirati su, ti prego!”.

Faccio del mio meglio.

“Ne sono sicura. Ciccio, su… resisti almeno fino all’ora di pranzo?”.

Ockay. Vedrò cosa si può fare.

“A più tardi, piccolino…”.


Non si muove più
Non conoscendo la prassi del caso
la lascio cadere nel secchio dell’immondizia
mi lavo accuratamente le mani

e vado a pisciare.

Una telefonata banale


___



… mi sono voltato
e ho cinquant’anni!

Mi sarò perso qualcosa
nel frattempo:
l’origine, l’energia, l’essenza
… baci

Tiravo biglie di vetro colorate
in una buca nel selciato
poco fa
… sognavo coccole

E lì, su una panchina
ben che vada
tra un po’
sarò vecchio varicoso
a fissare l’orizzonte

Per convenzione
vivo in una struttura corporea
che non sottoscrivo

So riconoscere, però
il vento, l’erba, l’afa
la stupidità…

Insomma, quel minimo che serve
per una discreta sopravvivenza

Che strana parabola, amore mio
mio bottino silenzioso
… tutto si gioca sul tuo ventre!

Madre prensile
Muto coraggio
Grande,
col tuo grande fiato avvolgente
e le grandi lacrime
miste a grandi magie
e atti di carne
Grandi

Verrò sempre a morire da te
Dammi ancora il tuo latte silenzioso

… ancora Vita.

Strana parabola


___



Il non luogo è
lungo il corpo
intorno

e lo spazio dov’era prima
ora è nulla
o altro?
…innocue profondità

Il movimento viola
lo spazio
e lo spazio è violato
…intime distanze

E se lo spazio
a sua volta
si muovesse
il corpo
sarebbe violato?
…e corro nei colori

Tienimi la mano
che poco ha a che fare
la fisica, con quest’idiota
filosofico morire.

Tangeri ¼ all’una


___



Guido circospetto
nel siberiano & la merla
tra cortei d’arcani fantasmi
in questo immenso buio bianco

Cardi selvatici e rettili luminosi
avvinghiati
mi suggeriscono
presagi sfavorevoli

e ho come la sensazione che
i cani di Largo dei Lebbrosi
non riconosceranno il mio odore;
come se, l’omino delle tasse
fosse in agguato con una calibro 9

Sento come se, nel mio frigo
dovessi trovarvi dei resti umani
o la solenne dichiarazione di guerra
dello Stato alla mia persona

E trovo tutto ciò, alquanto sgradevole

Allora, urge librarsi
E così, sistematico, mi propago
in fruga del granchio cardinale…

Però, fai conto di poter cambiare
l’ordine degli astri
riallinearli secondo un’influenza meno perniciosa
e adagiarsi poi, su un’amaca
tra i platani
sereno
ad osservare l’inversione delle dinamiche
e l’avvenuto
divenire luce
respiro
e bellezza.

Il pretesto: la neve, la Murgia…


___



E mi vengono domande…

La volta, che disubbidii
alla morte
rinunciando alla pace
e ai suoi ceci

Le rane che infilzavo
dal culo alla bocca
al bambù nel ruscello
in gravina

La prima volta che
ho visto cose
che vedo soltanto io
Quella in cui crebbi
in 6 minuti esatti

Quando pisciai 40 volte
in un solo giorno
da meccanico garzone
che tutto era
tremendamente giallo

E pascolavo mucche allucinanti
E infilavo tabacco a corone di lacrime
E sparivo nudo nei covoni di giugno
E singhiozzavo su antologie maldisposte
E sognavo di fare
quello che ero:
un Bambino!

…E tutto questo scrivere
da sempre…

Mamma,
sono le 26 e 49,
adesso puoi avvalerti della facoltà
di non rispondere.

Lettera a mia madre morta


___



L’essere scagliato lontano
ancora amniotico
in questa vertigine adottiva
in questo rumore di freddo
stanziale,
non è bellezza

L’essere rimboccato le coperte
una tazza di latte caldo
un bacio sulla fronte
e un Come stai tesoro?

Questo è bellezza!

La differenza


___



Le cose,
i nomi.
I nomi delle cose.
Parolare le cose fallandone i nomi, sempre!

Parole taciute.
Cose prive di nomi o proferite sempre
con accezioni in alterco:
“Ho visto una grande luce… poi,
un angelo suasivo, mi ha ‘parlato’
per tutta la notte… E’ stato divino!”

Al rogo l’eretico Giordano Bruno
per aver confutato la palingenesi
del ventre di Mary.

-Disfunzione genetica della ragione-

Per un’insigne fellatio americana
l’incessante agire del male
farsi minaccia.

Siamo nati uccidendo
e
a nostra volta
finendo uccisi

per poi, ancora
uccidere.

Che disordine!

Vero?


___



La mia amica lesse poesie a Marrakesch
alle 3 del mattino

La luna, in punto di morte
era bellissima
e lei accusò un fremito blu
dal Sahara al sacr’osso
immaginando tuareg al bivacco

La mia assenza passò
assolutamente inosservata
Però, ho visto ardere gli amanti
nel fuoco di palme da dattero
e di petali di gerber
attraverso i suoi occhi

E lei graffire indecifrabili segni
nel cielo:
Kiss per il berbero Larbi.
Emicrania della vecchia Europa
deriva della terra senz’alba.

Morirò
Moriremo
E questo è tutto.

Solo, non accetto il doverlo fare da vivo
e l’esser nato.

Nel fuoco di palme da dattero


___



Piovigginìo crepuscolare
sulla Murgia orientale
Irrisoria minuzia, per tanti
per me, un restar di sale

Furtive nei carrai
auto appannate si dispongono
a dondolar gli amanti
E in cielo rombano F.104
pronti al “GO!” NATO

Contadine nei fienili
dalle polpe e poppe sode
prendono a vampe il piacere, carponi
E nell’Adriatico, meno munifici
i caronti a traghettar dannati

Floride squillo di colore
al chilometro 96
suggono solitudini a saldi
E miserabili aquile, allorché da ultimo
prossime alle rive di Puglia
sconsolate s’inabissano

La luna mi srotola dinanzi
l’asfalto verso casa
tra il Mediterraneo e il cielo…

Anch’io farò l’amore, tra un po’
Ignorando ogni perturbazione balcanica.

Da buon europeo


___



Migliaia di lattarini
disporsi in un fiat, a squalo tigre
fanno panico

e, a parallela somiglianza
i cristiani, che a milioni
san far di meglio

Leggevo, en passant
un libro sulla pederastia clericale:
macchinosa
lacerante
spleen…

Perdono, per queste immagini
ricorrenti
di un pomeriggio etero-presunto
che pioviggina strano

rosa cipria.

Sconce immagini


___



A cosa pensate
quando seggiate, a sottane sollevate
o calzoni calati
e mutande giù?

Decisamente poco carini
vulnerabili, certo
ma soli!
Voi, e i vostri visceri

A cosa pensate
raccolti nel mistico atto della deiezione
pronti a dirigere la colonna escrementosa
nel muscolo anulare?

A cosa pensate
quando, da ultimo
esercite quella eccelsa, balsamica, liberatrice
coazione sfinterica?

Vi prego, però
non dite: Al terzo mondo.

A cosa pensate?


___



Inevitabilmente, poi
finisci col pensare a cose banali
del tipo:
"Ma dove sono tutti gli altri,
quelli che non ci sono più?"

E non c’è nessuna connessione
col ricordo di Izet, vecchio poeta bosniaco di Doboj
reso ancor più bizzarramente lirico
dall’hobby bellico del buon Slobo

Disse che c’era qualcosa nel mio libro
che valesse star su tutta la notte
Per quello che avverto dei brividi, adesso
pensandoci

O è solo il pianoforte di Sakamoto
o solo i gradi di questo brandy di rogo
o tutt’eddue, con me

“Coltivandoti, la tua terra, è fortunata…”
bofonchiò, vecchio matto, mostrandomi
la copertina de Il Libro degli Addii, il suo
con la foto dell’antico ponte di Mostar
prima della distruzione

“Non consentire che accada anche qui, figliolo”

Avrei voluto dirgli
come stanno veramente le cose
che mi spiaceva tanto
che ciò non rientra affatto
nelle mie specifiche prerogative
e che, probabilmente, sul mio conto
si sbagliava alquanto

Che nulla posso
verso tutta questa mediocrità
che finge di star bene
sotto il cielo, dentro le ore
nei vestiti, nelle chiese, dentro i letti

e che ho persin vergogna
delle mie nudità e battaglie
senza bottini

Ma lo vidi ranco, struggente
scomparire
dietro una porta di bagno…

“Per assecondare la prostata”, disse.

Avrei voluto dirgli



___



Qualcuno ha detto che:
“La terra è un’eredità lasciataci
senza alcun testamento”.

E la pioggia l’ha impastata
al sangue rinsecchito

C’è appena un rivolo d’acqua:
dalla spiaggia, col sereno
vedi l’inferno di confessioni a confronto
nel sestiere accanto

Lì, conoscevo una ragazza, Snjeska
così bella che la metà bastava
Praticava sesso e sentimento
con un compagno di fede differente

Ma un pomeriggio, il ragazzo
arrivò fucilatore
e la ragazza non c’è più del tutto

Anche lui, il ragazzo, non c’è più
perché la ragazza aveva cugini cecchini

E anche loro, non ci sono più
perché arrivarono i piantatori di brillamenti

E molti altri arrivarono
idrofobi, ultori, con usberghi e archibugi…
E anche il sestiere non c’è più!

Che cosa non ci hanno detto?
Chi ha vinto?

E che cosa?

Snjeska voleva soltanto
farsi biologa
e far l’amore

tutto qui.

Una non politica
(Interrogativi)


___



Sistemato nella poltrona occidentale
dagli occhi petroliferi
Piedi di Beirut in acqua e sale
a mo’ di guru sudato
il naso, punta visioni

Ectoplasma del gendarme globale
Cappello a tese larghe dal cui interno
traspare un campo mentale all’uranio impoverito
Sciami cosmici ultrasonori
liturgie moleste
TV
genitali
borlotti
Los Alamos
zanzare…
Trovo che l’anima possegga una propria struttura
indipendente.

Oh mie fanciulle stellari
ripiene di tampax al tritolo
per la festa della deflorazione luminosa

Oh miei ragazzi regolari
dalle mimetiche imbottite d’odio
e polvere da sparo, contro il terrore dei terrorizzati

Oh mia Palestina!
Oh mia Israele!

Oh terra di Cristo


___



Pioggia di seni a tasso agevolato
Stormo di limousine in chador
Ballo di San Vito dell’establishment
Massiva intifada allo champagne
Infusione di verbena al V braccio
Manutenzione idraulica per chierici
Corso di ricamo alla curva sud
Peeling obbligatorio per proiezioni
Cera per cerniere pigre
Silos di vaselina per Isabel
Addosso ai cani che danzano…

E’ come respirare aria solida
Come volare infilzato a uno spiedo

E per domani, amore
prevedo un peggioramento delle cose

Buona notte.

Stress


___



Un giorno così
(inadeguato)


Grazie ad una ventilazione più o meno regolare, la notte non è stata più faticosa del solito.
Il sangue, per fortuna, è stato discretamente ossigenato.
E prendo atto che, anche oggi, è andata.
Ed avvio il gravoso appello ordinario delle mie moltitudini, per una nuova conquista della posizione verticale.

E sbrigo le minime operazioni igieniche…
E tiro lo sciacquone…
E osservo i miei residui biologici, espulsi da poco, colluttare gloriosamente con l’acqua di scarico…
E penso che la parte migliore di me, defluisca verso un futuro migliore...
E le faccio l’imboccallupo.

E appoggio una mano sul muro…
E sorprendo le dita a tamburellare le mattonelle…
E non ne conosco la precisa ragione inconscia.

E faccio colazione da solo, e briciole…
E ti mando un bacio…
E ti chiedo perdono.

E metto su a fare un caffé, prima che qualcuno venga ad annunciarmi qualcosa d’irreparabile.

E da un anno, tutto ciò, tutti i giorni.

E adesso, musica!
Il blues prende a diffondersi lungo la schiena…
E di Dio, ancora… nemmeno un indizio.
E non mi va di fare la doccia… ho i brividi…
Mi stendo sul divano…
E ti penso.

E non faccio nessuna delle telefonate, che mi ero prefisso di fare…
E ascolto euritmiche preghiere di un grande pakistano morto…
E vorrei sollevare questo giugno, dal suo incarico afoso.

E, dalla finestra, vedo case mediterranee che stanno su dritte, coraggiose nel sole…
E persone, come me, schivare se stesse.

E basta anitre, gatti e il pollice! Non c’è via di scampo per le protesi virtuali… né via di fuga per la bava del vulcano.
E bevo acqua…
E la consiglio a tutti.

E c’erano uomini ai quali elargiamo abbondanti ragioni postume, che ci rendono pateticamente apografi.

E nella cornetta, l’avvocato m’annuncia la catastrofe: Il Taranto non è passato in serie B... Lacrime e disperazione!...
E così, il Parlamento può agire indisturbato.

E c’è uno che sbraita, che scrivo da sballo… Touché!...
E poi, una tal Micol mi strilla “Stronzo!”…
E rivuole il suo libro d’informatica…
E mette giù, prima che io possa chiarire le mie generalità: non sono Gigi

E la vescica mi riavvisa di averne abbastanza…
Il bagno è decisamente un luogo ispirativo…
Vorrei fare una cosa, che ho visto fare in un film… se torni.

E, ai lati del mento, noto un certo prolasso dermico…
E penso che il tempo ne stìa facendo una questione personale.

E una casa editrice, pro-missiva, si dichiara entusiasta del mio lavoro, definendolo “Caso letterario”…
E anche, vorrebbe eurostuprarmi.

E mi colgo a parlare da solo: delle mie tesi, mai suffragate da alcuna maggioranza o dall’economia… Della verità, flessibile come la pelle dei coglioni…
E di come non sto bene, in nessun posto, che non sia il tuo sorriso.

E fai strane mosse, contrazioni muscolari, versacci… Che se qualcuno ti vedesse, all’istante saresti in forte debito di credibilità verso tutti i paesani e più… Addio alla cifra stilistica.

E quel week-end, da soli, che rimandiamo da un secolo…
E altro.

E quest’arto tremulo, su boschi e foreste, a produrre azioni antiecologiche, più che letterarie…
E non c’è altro danno, più di quello ch’è già stato fatto… da fare.

E ti metti ad elaborare strategie di salvezza, così! Semplicemente fissando il soffitto.

E credi che persino farsi la barba, sia pura follia…
Uscire di casa: un vero suicidio!

E ancora…
ripari in comode contemplazioni sui grandi sistemi, giuochicchiando con gli ultimi eroici riccioli occipitali…
E quel curioso fremito, arcaico ed arcano, sul collo, indicatore della risoluzione estrema…

E anche…
vorrei farmi da mangiare…

ch’è tardi.


Nunzio Tria

Sconcetti - Nunzio Tria



Sconcetti di Nunzio Tria
Edizioni Poiesis 1997
Collezione Poesia "Le Ambre"
Prefazione di Giuseppe Goffredo
In copertina "Ariete", un'opera di Angela Biancofiore



Vorrei renderti partecipe
della gioia di aprirmi lo sterno
dove il vago, il disordine, la follia
diventano l’unico antidoto
contro la stupidità;
dove quattro accordi, un tramonto
e io
diventiamo il sogno, una vita parallela

Vorrei,
se solo riuscissi a condurti
nel mio Urlo!


___



Lascia ch’io impari a volare
fin sotto il soffitto
e non darmi le ali di Icaro
fatale potrebbe essermi
la lampadina.


___



Un soave disagio
soffocare…

Quella notte incontrai la pioggia
e mi cercarono dentro, i rimpianti:

un conato, per tutti quelli che
hanno succhiato il mio tempo;

uno, per le attenzioni negate
a questi amori ormai cresciuti;

un altro, per un libro mai scritto
e per le lunghissime notti
spese a spendermi nel Forse.

Vomito


___



Non si ode nulla
Nessun senso rileva alcunché

Che notte!

Ecco, da me
vedo appendici pronunziarsi
a forma di arti
superiori
inferiori
e, ancora
innominabili forme

Indago concitato il bandolo:
far della materia un luogo
al logos compatibilmente vivibile;
ma, ripiego immaginandomi amorfo

una sorta di essere colloidale giallo Parma
inanime pure a riflettere sulla dinamica del trapasso

E, intanto
todo de nada t’attraversa
vecchio mio.

Ripiego immaginandomi amorfo


___



Viverti al cardiopalma

- O mi scorri davanti
che tra un’ora
era un’ora fa –

mi disturba.

Facciamo un po’ di replay
Blocca l’immagine a
quel 7 gennaio:

comprami un gelato
portami al luna park
mettimi in mezzo al lettone…
sai, il buio

Dammi pure l’olio di ricino
uno scappellotto, ma…
anche quella carezza

Insomma, vacci piano…
mi devi ancora quel Bambino

E dai,
non importa se ha qualche
capello bianco.

Tempo, mi devi


___



Mi gareggiavo
padrone dei davanzali delle finestre
sbottonato fino al cardias
nei pomeriggi di rettile.

Sentivo arrampicarsi il freddo
sin sul lombosacrale.

- Come sono puttane le donne dai capelli stopposi
nell’inverno del ’70 – pensavo.

All’ora dormivo dietro un armadio
tra dittonghi algebrici e sortilegi nucleari.

Ballavo al buio con gli Aphrodite’s Child
e la tua borsetta di caucciù.

Com’è possibile che Noi si abbia
una sola possibilità e poi…
les jeux sont faits?

Oh, pussies desaparacidas!

…Sarà meglio sollevare il culo
da questo marciapiedi
e dimenticare.

Nei pomeriggi di rettile


___



Lì, dove le presi
era buio pesto;
anch’io

6 anni e 10 chili
più di me
il suo pugno

Benedetto ragazzo

Non era mica obbligato
o malmenarmi
così forte

Richiesi un break
non l’ottenni
ma…

quand’ebbe finito

resuscitai.

Inconvenienti


___



Contro pelo, pelle liscia
shampoo, doccia, eau de toilette:
niente male!

Saltelli nudo. Lo specchio
ti rimanda vita, prorompenza
a ritmo di Hendrix.

Stasera la prenderò sui tralicci
dell’alta tensione. Scintillante
dolce, si rannicchierà pulcino
nel mio giubbotto, nuda, paga.

Metto jeans e vacheros
più l’abbronzatura: uno schianto!
Solo 4milalire. Stasera niente pizza
panino e stop.

Esco.
Piazza di calcio e d’auto.
Brutto: fica poca. Puah!

Ho voglia di un cuore
immezzo a due tette
e due gambe sulle reni strette.

Questi, amici, erano i programmi:
labbra fregolose e settimo cielo.

Al diavolo! Torno a casa.
A chi dirò Ti amo, stasera?

Il sabato del villaggio 2


___



Per ore ho fissato questo foglio

Ho girato tutt’intorno alle Galapagos
e fin su, in cima allo stipo più alto
in cerca di un bicchiere importante
e me lo sono fatto tutto a nuoto

E’ inquietante, quasi fobica
questa metamorfosi

Ho nascosto la mia testa nel microonde
per paura dei plagiatori
Ho finto di essere importante
rifacendo tutto il mio bicchiere a nuoto
Merda!..
che al mattino era giù instrada
appallottolato, ancora bianco,
così.

Così


___



Banale,

se non fossi già saturo
di sakè.

Queste gambe sotto tono
questi lunghi piedi doloranti
Questa stanza nevralgica, piena di liane
dirette al drugstore fuori contea.

Altrove avrei fatto smettere
di sanguinare Gesù
e questo puzzo di frittura.

Il progetto s’allontana
da queste braccia di reumo
da queste mani fuori breccia.

Il tè per gli ospiti
e questo cerume cefaleo
obbligano a una resa avvilente

e non è colpa della cucina cinese.

Una sera


___



Me, che dal balcone dietro il pino
vedo New York

m’hanno visto, più
e più volte,
da nessuna parte.

Seppur mi sladini in continuazione
per avere cent’anni di più
ed essere in due luoghi diversi
nello stesso istante…

Che il Dio degli anticorpi
converta il più nefando dei virus
così, che sia edenico persino
pestare una cacca di cane.

E domani, comunque vada
si ricomincia
con o senza.

Me


___



Quando si arriva al solito posto
il suo lampione preferito
ulula al richiamo di due grandi cosce
riflesse sul grattacielo di fronte

Gli sorrido, tiro il guinzaglio
lui mi segue contrariato

Vedrai, gli dico
una di queste notti andiamo su
Chissà che non abbia una cagna
con quattro cosce grandi?

Ho dovuto bermi tutte le insegne luminose della città
per farti pisciare…
Ora, promettimi di non parlare
se mi vuoi essere ancora amico.

Dog


___



Cach, ciach…

Che pediluvio singolare
cosciente, forse

Gli inquilini nel nido
sotto la grondaia
sono più furbi

E guardo in su

La calda sensazione di freddo
mi masochizza… e avanzo
Dove sei?

Che stupido,
non solo per il costo dei farmaci

E se fossi dietro quel groviglio
di matasse nere,
vuoi mettere?

Piove nelle scarpe



___



Lenti scivolano via
mari
dietro alberi e verdure
veloci.

Fermi.
Sollevo l’ottica
su una stupida campagna
come qualcosa che attende
un qualcos’altro
consapevolmente invano.

Oblitera la mia corizza, puoi?
E porta via la mia buffa sagoma
controllore.

Cosa faccio qui?
Dove sto andando?

Sulle palle l’ultimo
Book-testamento di Bukowski
Ansia.

L’unica misera consolazione
da un finestrino imbecille:
campanili comparsa
luci agorafobiche
antra notte idrica.

Ansia sulle rotaie


___



Ti assursi al picco del plateau
con opposto tropismo.

Lasciami solo
con tutta la terra sullo stomaco
ora.

Neanche per un attimo
ho pensato
che questo mio deflagrare
fosse funzionale, debito al tempo.

E neanche tu, talismano
opposto alla mia ptosi
hai colpa.

Io son solo in cerca di un “me”
meno deficitario.

Momento duro


___



Sono qui

crotaliche spire urbane
con la mia notte notturna
invincibile e narrativo.

Mal esseri abietti, grondanti
di fetido muschio epidermico
allorquando le ore solari
rifuggono di là dell’oceano.

Se non d’accopparmi finito
qual altro movente avreste d’essere
nelle vostre succhioni moschee economiche?
Quali aurei nimbi lustrereste
senza il mio zelante scalpo?

Potrei ritorcervi pari e maggiore
l’intero mio artificio; tuttavia,
prediligere a voi, è molto meglio
una stella cadente.

Bancabile


___



Poi, le stelle
troppe
a ricordarmi troppe cose.

Due donne fanno l’amore in tv:
s’insaponano le groppe, i culi
le vulve. Necessità estrema

Assopite?
Cosparse d’unguento indiano
e trancio di carotide?
Dei loro corpi, quasi ne sento l’acrore
degli umori, ne osservo il pallore.
Luce ultima

Poi, mi noto in red culotte
salvato dai titoli di coda
che preparo acchiaia, raucedini, sogni
da stringere allo scoccare del nuovo
giro di boa; piuttosto vivo.

Ma la bocca il cui unico motivo d’esistere
era baciarti
è ora di fegato impastata.

Poi, non so


___



Invece è questo
quello di cui ho bisogno

non dei quintali di sorrisi amorfi
non del sapore strano
del ticchettio dell’orologio

degli squilli minacciosi del telefono

E non ho bisogno neanche
dei chilometri di pseudo-coccole

Invece è questo
quello di cui ho bisogno

non certo di un volgare Bravo
sulla spalla

di una cravatta o pois
per stare al senno d’appresso

E neanche, se vuoi
di questa mano per scrivere

Caèire!

E poi,
dammi un’ora

un’ora soltanto

e ti stravolgo la hit parade.

Capire


___



Più vecchio di un giorno
ho schiuso gli occhi
nel sugo della domenica
stamattina

Ho aperto la finestra su ulivi
e radure: ficcato era il sole
ovunque

Ho spento un’incompatibile rap
a quel sommo miracolo iapigio
e commosso…
ho chiesto perdono

Noi -nella storia o leggenda
fratelli d’Odisseo
al crocevia del pensiero cosmico
scaduti ad ansante codazzo dell’omologo-
abbiamo la terra nostra ei millenni
frodato!

Sud


___



Permango a bitumarmi i polmoni
piantato in Nasso da un’idea che
credevo valesse il trascorrere
di un’interminabile notte
in una notte sola

Ma è oltremodo bello
udire i colori,
bevendo semplicemente latte,
che dare d’imparaticcio
con piagnucoloso dislinguimento

Nondimeno reo, parimenti d’essermi
condotto prossimo allo schifo
e oltre…

me ne strafotto.

Prossimo allo schifo



___



Che spazia i cardinali
non savio di geografia

Poliglotta ignaro
della sua stessa lingua;
che non ha amato
branchi di duchesse lascive
e monili e lapislazzuli

Che non aiuta
la mia balbuzie scrittoria
coattandola a un’epistassi di pattume

Io. Che insopportabile fonema!

Poi, una rocambolesca fuga
dietro l’indice…

Però, insieme
abbiamo amato
fino alle cinque del mattino
deo gratis!

Vedi, basta che noi si flirti un po’
che il poetare senza un background
forse
non è peccato.

Nunzio


___



Pensala una sera di nebbia
in un viale autunnale lampionato
e se pioviggina
è perfetto.

Tira su un bel respiro
insieme al bavero e
adagio, incamminati.

Chi c’è in questo cappotto?
Strano è il movimento
strano il fumo dalle narici
strana l’ombra insolita.

Pensala mentre gli ultimi fari frettolosi
tornano a casa e le finestre tremolano
di una luce azzurrina.
Stringiti nelle spalle e nei denti
e prosegui.

Dove sono i miei anni?
Strana inquietudine
strano il respiro nelle tempie
strano l’insolito karma.

Pensala a naso in su, mentre l’acqua
metallica si scioglie sugli occhiali
insieme alle lacrime
nell’assenza stellare.

Quando pensi alla vita


___



O musa
o pianto
Giuda iconoclasta,
angustiato in una spanna
da tagliole,
schiocca le tue dita
in sincope
sul tuo profilo migliore
ed emendati.

Inutile filantropo


___



Come ombre di rettilario sul mio alito
intemerati occhi mordono

Come cecchini sul mio sudore
immacolati sguardi sparano

Come efferati carnefici sui miei visceri
compassionevoli mani graffiano

Come iene degl’inferi sul mio sangue
venerabili fauci dilaniano

Ho i piedi a brandelli, per voi
e non ho più scarpe…

Ma, vi sopravvivrò.

Incauta simulazione dell’intorno


___



Fumo trafitto, obliquo
da lance di luce

Gli aghi-manto di pino
d’aleppo, ora flessuoso
aromatico

Umidi e resinosi gli alberi
dolci, quasi danno d’osceno

In quanti staranno facendo l’amore
adesso?

E’ spiovuto da poco
e m’interrogo sulla
provenienza della brezza

Pare provenga dalla costa orientale;
non potrei giurarlo, però

Mio padre
se ci fosse ancora lui
di sicuro lo saprebbe.

In pineta



___



A te, che avresti solo bisogno di starmi lontano

Alla schiuma di questo boccale di birra
Ad Armstrong sulla mia luna
Al tinnìo degli Indiani negli orecchi
A via Cormons, 71
Al Canino putrido con granuloma
All’ultima marlboro, prima di piangere
Alla spiaggia di Waykiki

Agli anni ’70 che beccarono Paco
A Diana di Prima per la sua “Pratica dell’evocazione magica”
Agli zabaioni e le seghe
Al disciolto Partito Socialista
A quella d’inglese, col pallino di farmi
Al piano regolatore generale
Alle sbornie di mosto
A come, sono sudato

Alla cattiva igiene burocratica
Alle lacrime di Hamid per la sua Algeria
Alla neve col vincotto
Al morire in circostanze elettroniche
Ai folli nel fango di Woodstock
A come sei dolce in T-shirt
All’arpa dalle corde di sangue vietnamita
All’incessante rabbuffo tra me e la notte

Al primo gatto nero nel pizzo a fiorellini viola
Alla terapia osteopatia craniosacrale
Alle jam-sessions di via Carnia, 1
All’entropia etnica
All’alba, che spinge il mare più in là

Al sorriso

Alla perdita

Alla mia necessaria inutilità.

Calura agostana



___



L’orizzonte, tra il pollice e l’indice,
limitato

Ore, di un tempo implacabile,
indilatabili

A sera mi dissetavo di te
ma era tutto così poco:

nessuno in grado di proferirsi
in tramonti d’India
in boschi del Kentucky
in un alieno

Dio! Come son fatti male
i miei pensieri

Forse, se avessi imparato a scrivere?

Avevo ed ho
bisogno di credere
ma era tutto così poco

Annoiato, alle 6
mi raggomitolai sul grembo
e morii.

L’ultimo atto


___



Buffe cervici taurine
orditrici d’inquietudini
ricurve nei loro sottovuoti
ansimano
alle bizze di penne
indomabili e
muoiono cianotiche
per l’umana insipienza
anzitempo alla gloria
fuori dai videoclip.

I Poeti


___



E saldare tutto
e fare pace con l’alba
e lasciarsi andare
e tornare on the road
E poi?


___



Non addormentarti
Offro il mio venirti da tergo
per il tuo dar fuori di matto

Garantisco 6 once di delirio
e un posto nel ripiano del secondo cerchio
con la gola secca

Dai gas al tuo virtuale
fin’oltre il represso
obliterandolo.

Stammi a sentire


___



Giocavamo a giochi più stupidi
della ragione per cui eravamo là:
eremo in contrada qualchenome

sapendo, a priori, che non avremmo
scopato
perché, scopare, era più grande di noi
più grande della prateria, del bosco…
più grande

Piccola, coi calzettoni all’uncinetto
che stentavano a star su
Gote di cocomero maturo, che m’imponevano
qualcosa di basico, di irreversibile

Ecco, una Esportazione: l’arma segreta; fumata-fuga
cercando di non tossire
prigioniero di questo non-rigonfio nei jeans
cercando di non morire
Vorrei avercelo di qui al mandorlo, spaventoso
e stupirti

Per ora non so renderti felice
ma presto imparerò.

Spaventoso e stupirti


___



Gambe di lentiggini
rannicchiamoci dietro quel Dalì

Ti narrerò d’infinite paure
e di come abbasso gli occhi

Peste al comune scontato
Desistiamo la nobile etica
e giochiamoci la notte
in punta di lingua
su ogni poro

Palpitami nel torso
brutto muso
e io metto su un disco

Vedrai,
le candele ci proietteranno in macro

e sarà gigantesco.

Fuso di strike



___



Tra sinuosi arbusti tentacolari
dalle aritmiche movenze,
anaconda di fango si contorce
acquea l’improbabile carraia

A orbanti strali al neon
seguono potenti urla celesti

Schermo fantastico-parabrezza:
piove sulla 127 del ‘71

Apprendo il tuo passato:
tuo padre partigiano
il nord
le tue nudità…
Io non ho passato

Argentea, sotto una luna bendata
la pioggia sbandiera e zigzaga
esaudendo l’estro rabbioso del vento
poi, sfugge e cade con gran fragore
sul tettuccio

Nessuno mai
può aver provato tanto
E’ un plus compenso questo
al mio generale mancato

Qui, in auto, nel bosco
stroboscopia destriera eburnea
tra il cielo e i lamenti di te
che mi fanno l’amore
è grandioso sfidare l’uragano.

Alla maoletta


___



Una riga via l’altra…

un continuo srotolare
di cazzate

Sigarette zero
e i cani abbaiano

Sai, c’è più fatica in una disfatta
che arrivare in cima allo specchio

E ci scappa un Ti amo
ad occhi lucidi
all’una e un quarto, quasi
del 1994.

Notturno cazzeggio


___



Sbagli, se credi che l’Alabama
sia meglio di qui

Ci sono imbecilli ovunque

Ho messo anche gli stivali nuovi
e ti porto giù in paese
in autostop

D’accordo, che non c’è poesia
però, chi più di me
può farti sorridere
mentre non riesco a slacciarti un body?

Scommettiamo?



___



Una perfezione per ogni caviglia
e nelle mutandine
carni che dimenticano d’invecchiare

Oh Sandy, fuori delle nebbie, che gatto!

Sandy e i suoi seni d’adolescente
puntati verso l’alba
prendono un solo caffé per colazione
sognando isole ispaniche

Sandy, granitico capitano romantico
avversa l’idea del male e dello stirare
difendendosi con elefantini d’avorio

Ma poi
piglia il giorno tutto sulle spalle
e canticchia a piedi nudi al cielo
fin dentro le lenzuola

Jeff adora guardarla dormire
e pensa di non meritarla.

Sandy & Jeff



___



Un giorno ti porterò in Normandia
o su un deltaplano tandem

Comprerò due ettari di un qualcosa
a San Jan di Puerto Rico
o faremo la corsa nei sacchi

E se lì o là
avrai freddo o caldo, allora io…
Berremo calvados o bibita tropicana

Se potessi invertire la prua
saremmo a Mannhattan
o a dipingere in mansarda

Oh, come vorrei vederti ballare nuda
odalisca mittelmediterranea
immezzo a Tien-A-Men
o in the rain, fuori dal pizzicagnolo

Tieni duro, mio male minore
assoluto
Pensa che bello sarebbe svegliarsi
in un bagno tailandese o…
Ockay,
vada per la Spagna, ma adesso
ti prego
grattami la schiena.

Pruriti


___



Chérie: lamento, agonia

infila il cuore nel dentifricio
bastona il mio caffé
e ciondoliamoci a cappio
al doppiere

Striscia ai miei piedi
bruciami le unghie sul clavicembalo
trapassami l’addome con l’attizzatoio
e odiami

Rigetta pure sulla pelle di leopardo
ma, ti prego
risparmia Mallarmé

Quanti boli colorati
hai assunto?
Quante, le bollicine etiliche?

Ho piantato il serramanico qui,
la Bugatti ocra non ci starebbe
tutta nel mio petto
Per questo ho fatto a cambio

Vieni, c’è della brina da bere in giardino
e i miei cani in attesa del loro Eraclito

Fregatene dei giornali di domani
con su solo il chiodo
e quel livido collare

sei bellissima!

Al castello


___



Per costruirti almeno un ghigno
arieggiante un sorriso
vorrei distribuirmi
nelle tue sublimi giovani rughe
e cingerti nella canapa di Manila

Poi, in un guizzo
farei scivolare il foulard dall’abat-jour

Sei più bella che 20 anni fa
ci puoi scommettere la lingerie

E’ di un magico infinito
sentirti in voglia
e i brividi nella mia spina dorsale

Scorribandami in ogn’ove
su e nel soma
indugia a sud dell’ipogastrio
finch’io t’impregni

Scantona da narcotici odori di nullaggine
e raggiungimi
in teche d’onice e damasco
ad osso pariventrale glabro. E lì
Klimax ci colga.

Chiunque le abbia create, di queste notti ne fa davvero poche


___



Soffio scottante
sul mio solino

saura
sopra di me
ti sento

Misera
a similitudine
di questi istanti
l’esistenza

In noi
sino all’estremo
esenta l’insinuo
e misero sarà
persino il transito.

In “S”


___



Madame
lo stereotipo dell’angelo-cuoco-porca
I silenzi da leggere in maiuscolo

Sorrisi inodori, incolori
come ruggiti al tetano

I sogni d’orge viola e purpuree
blindati

Le divine schifosità
in compartimenti stagni
inaccessibili

Il collo suppliziato
da una, due
e più e più bocche
di nebbia maleolente e d’acciaio
nauseabonde

Mastectomizzata, pari a due amazzoni
da artigli farciti di grasso
e di vermi

Il ventre squarciato da clavi ciclopiche
tante
dal sapore acido-salmastro
devastanti

Omettiamoci da questo prato pseudo-celestiale
da questo immenso sciame impotente
che non può pungere e piange e muore
soltanto una volta
Eludiamo il vortice del circolo vizioso
generante il patetico ri-triomfo dell’impostura

Lungiamo dal ricovero di un amore così, tanto dozzinale
e candidiamoci pionieri dell’auto-ignoto

o parliamone.

Madame


___



Dischiudo in un bacio gli occhi
per vedere se i tuoi son chiusi
Ockay. Stasera siamo immortali.

Usciamo. Voglio portarti a sorridere.

Prendiamo la provinciale fino al mare
poi, svoltiamo a sinistra per la jonica
e proseguiamo senza meta

Tira su un po’ il vestito. Lo sai
che adoro guardarti le gambe

Lividore lunare il tuo viso
di una dolcezza impicciante
rende fuor di proposito
questa mia autostradale erezione

(Area di sevizio)
Facciamo che tu danzavi, col tuo sogno
sotto un tombolo pirotecnico di stelle
in questa stramba estate notturna
mentre io sorseggio saliva.

Tagliolini ai ricci di mare
e un capezzolo tra le dita
Ti vergogni, ma sorridi

Non ho mai smesso d’amarti…

E’ troppo sdolcinato così?
Su, finisci il tuo caffé
che mi è venuta un’idea niente male.

10 agosto 1996


___



Di sobbalzo
ai tuoni di marzo
mi sveglio
ai lampi usurpatori
nella stanza

Sfinito
tra pareti d’acqua
rincorrevo un’armatura
medievale, poco fa
e ho avuto la sensazione
che mi tradissi
patatina

Sbranando eliche d’aerei
e cani caldi
bimbi
sbucavano dalle fenditure
dei muri di raso blu

Ero fuori del corpo
in un luogo con tanti posti
ognuno
per ogni essere
in cui perdersi

In torpore
reduce da allarmanti apnee
metà scioccato
e metà intricato
col cuore che tonfa
e ritonfa
contro il rizoma della zazzera
mentre dormi
a parlarti

Mi sono gettato
da un’altezza impossibile
ed eccomi qua
con la voglia di sculacciarti
o soltanto piangere

e non posso.

Che strano


___



A volte:
lucido mistero setoso
come ancella al nichel selvatico
in toletta,
è Dulcinea

Altre:
latteo riflesso del falò
di viale dei salici, dietro la stazione,
è fior di loto

Simon c’è rimasto secco per questo,
idem al pagliaccio nel film

Oh Lizzy, quel vestito preso a Parigi
e quei piccolissimi seni del New Jersey

Sharon, fiera soldatessa delle stoviglie
e del Saturday night-core sistematico

Timorata signora, avvaccata su mille patte
in aerobica esibizione dello scalpo genitale,
trionfa

Insisto: il peggiore dei mali,
pur necessario,
è il migliore degli angeli;
a torto supposto maschio.

Demonia


___



Pregavo che, questo cuore
reggesse
Avevo tante cose da dire
da fare

Sognavo una camera rosa
e spogliarmi con te, a letto
con le caviglie e le orecchie
pulite

speravo che non ti saresti
mai arrabbiata
che non avrei mai sbagliato

Ora ho freddo
i grilli cantano fuori
e non è normale.

Vani auspici


___



Ineluttabile animale di latte
sul costato
frano ai tuoi piedi di spuma
e canto

Discendo whisky i tuoi fianchi
Contemplo i deserti e la morte

La morte come inizio: inizio di
non comunicazione

Così non sarò mai compreso
ma è così che mi piace

Distogliere dal peccato del ricordo
postumo
i tuoi alluci, la federa
e i meravigliosi turgori

fare il verso alla terra negli occhi
di sotto
e godersi, in maliose telerie corvine
l’avanzo di candore scostumato.

Immagini


___



L’attesa
Count-down nelle province del 42° parallelo

A ridosso di un calvario perpetuo, Qui, si Aspetta: i pesciolini di liquirizia, il primo giorno di scuola, una bimba scontrosa, difficile, un animale prevenuto; le vacanze, l’appetito di bicicletta, lo zio inamidato dall’estero… la speranza di vedere il mare.

(La realtà)
Una stantìa bottega, con dentro un mestiere insopportabile come l’odore del piscio delle ascelle del capomastro… in cambio di una pagella quasi buona.

Quattro mesi per coprire la distanza tra la rotula e le prossimità vulvari: il primo filarino; poi, non te la dà… e di lì si Aspetta, qualche anno, il primo coito interfemorale.

Si Aspetta la partenza dei brufoli, in coincidenza con l’anelato arrivo dei 18anni: il pomo d’Adamo, il poter guidare, votare e sfidare un buldozer… e puoi farla piangere.

Aspetti ancora, e sposi quella che te la dà. Poi, non te la dà più, come prima… e si diventa parenti… Opposti.

Lo scisma di due oscenità cassate: sullo stesso tavolo lo stesso fariseismo, nella stessa lavatrice due umori contrari, nello stesso cesso lo stesso disfarsi, nello stesso sapone due difformi peccati, nello stesso letto abbisogni funzionali all’incirca ciclici… sconfinatamente tristi.
Proprio così!

Si Aspetta, fritti, una grossa vincita: un miracolo, l’eldorado per corrispondenza… o un’amante godiva da copertina… o un qualcos’altro che non sia una telenovela. Tuo figlio, un uomo; e i tuoi sogni, ostaggi dei tuoi errori. Poi, immani panzane da raccontare ai nipotini.

Si Aspetta –da sempre attesa- la pensione. Ti regali un sorriso dì zecca, con la nuova dentiera pronta a vomitare, al ricovero, fallaci ricordi di montate equine.
E Aspetti ancora, finché la tua vecchia scranna non ne può più, e ti scodella spandendoti sul pavimento…

…Come ti chiamavi?


___



Handikap, Why not?

Le bocche di fuoco che fanno il tiro alla fune dentro la pilloliera di nonna Ortensia Non sono esonerate dall’obiezione di coscienza E non sempre l’elettricità statica è alleata della cambusa per sostenere il lamento di diciassedici eunuchi brilli Al week end di mamma donnola i suoi collant rischiano la fellatio L’abat-jour rischia l’appalto delle grandi manovre... Il rischio rischia di non correre.
Il costo di un dramma non supera mai la curva di Bhain In cantina presso la complanare ad ovest delle 23 pugnalate Pronti a saltare sull’asta Chi ha detto Quo vadis? Resta su E’ la tua notte E abbronza le narici La cronologia degli avvenimenti si biodegrada nei punti di vista Mettiti supino e ti dirò il tuo grado di figliodiputtaneria La folla giunse in sacrestia Il tuareg polipossedette il parroco Tutto inutile il ’68 in cravatta Senza la ricevuta fiscale Margot aveva un culo e un barboncino anoressico E tutti pizzicavano il culo di Margot E Margot… Poi ci sono i nordici Poi ci sono i sudici Poi ci sono “i poi ci sono” E poi ci sono “i poi non ci sono” Ed ebbi un orgasmo cerebrale Si va in cerca d’Omero Verso il rock e il martirio di Giove Sellate i cavalli se ritenete sia giusto rendersi colpevoli di un participio passato Allora Ascoltate chi ha avuto la meglio su se stesso deflorando una carta carbone Cazzo! E caricate la sveglia sulle peggiori perversioni e conditele con Dio e saliva Che erano tutti fuori dei corpi e dei crani Quando ebbe la meglio colui che disse più balordaggini E adesso vi è una violenta recrudescenza Ma ecco il mare a pochi passi dal mio computer Chissà se lì è giorno o se hanno scippato il bottino al ladro Cosa ci entra? Obiezione Vostro onore Il teste non è attendibile E facevamo a gara a chi restava più a lungo col fiato sospeso Aborrimento totale Lo zio Willy ha finito la colazione e non ha derattizzato questa parte di cielo O è meglio aprire le gambe? Se sei ancora vivo Prenditi l’alluce in bocca e fai gol O fai indigestione di spots
E la sera quando tornerai Sicuro d’aver vinto Bingo!
T’avranno clonato.


___



Che ho fatto un sogno alla periferia di satana
Alias, se ti entra del freddo nella giarrettiera… dammi del tu.

Le meduse filano sperma ingravidando il mare Mentre so che ti piace guardare un voyeur guardare la lavandaia di Grenoble Il peneretto dell’altra tua metà soffre di claustrofobia E tutt’intorno c’è sfiga Contorsioni cerebrali Autostrade bluastre su poppe cadenti Canti gregoriani a colonna sonora di un salto dalle torri gemelle Avvolte in una sigaretta vanno in fumo tutte le bestemmie tra le labbra e le ginocchia di Susy la succhianerchie Attaccato da uno squalo all’angolo tra la quinta e il pozzo di San Patrizio Ci vediamo due anni fa E ancora Rabbuiarsi rigurgitando fandonie per difetto di memoria E giù bastonate nei ciglioni a chi no respira nei dintorni delle mie feci Giovedì ti regalerò un semestre E per mille vibratori difettosi Un cazzo di porcellana autentica da esibire nel salotto buono Qualsiasi cosa stiate pensando Non è vera L’università della mente segna i confini nel culo di Nostradamus All’asilo la maestra ha mollato un peto Arrossii Il traghetto Oltre il fiume S’inoltrò nella steppaglia I viaggiatori gridarono al miracolo Chissà quant’è alto un quintale al nigth Posto che la verdura m’annoia E risarcirò chiunque sappia morire Almeno tre volte Vaffanculo Vaffanculo al cuore che pompa merda Al cervello che la elucubra Alla bocca che la vomita Vaffanculo alle orecchie che ci cascano Ho ricevuto il messaggio di monsieur Louis Argon Quanta gestazione Prima della strage alla Sinagoga E a tutti voi Buona serata coi nostri programmi E ancora Adesso si chiava perché il caro vecchio porco Charles B. è uscito col suo ascensore in bottiglieria E’ mediocrità o furberia No! I Rolling bruciano vivi sul palco tutt’insieme Al mio via Fatevi le seghe Le signore provvedano alla rimozione del caglio E alle due si fanno i bambini Gli sguardi fieri e indifferenti di Ludovico Van Beethoven e Michele Gorbaciov appesi al muro Mi è entrata tutta la notte nel naso La professoressa chiede scusa Il veterinario le sfila una mazza da baseball dalla berta Inspiegabilmente finitaci L’assessore fa il bagnetto alla barbye La mucca giorgina Ingelosita si mette col fattore Ed è una camionata di clitoridi Ma poi Le negre Ce l’hanno o no? Che schifezza indicibile La pelle crespa nella terra di nessuno Attenti al cane Se mi sbrigo prima riesco a prendere la corriera Sotto l’ombrello pisciavo lungo Insieme alla pioggia E non mi hanno promosso Stop!
L’anidride carbonica mi è testimone Punto.


___



Titolo provvisorio

Sai? I poeti muoiono vivi… senza tempo.

E poi c’era una stanza meno squallida di me, solo un po’ meno piena di vuoto:
un tappeto senza ali nel mezzo, un posacenere indiano d’imitazione, a lato, contenente resti di sigarette arrese al suo rossetto color prugna e ai miei trentanove anni color non so. Nient’altro.

Ah! Ricordo che c’era ancora l’eco residuo di una feroce battaglia, si! E l’odore irritante di sudore e sperma e fumo.
Ne siamo usciti sconfitti affatto, come due duellanti sincronici nella stessa mira.

Quella sera hanno assassinato sua santità in TV, al piano di sotto. Avessero fatto bene o male? Non riuscivo a stabilirlo. Aprii la finestra guardando il tappeto, imbrattato di bava ormai ininfluente, rosso dalla vergogna per quella inopportuna complicità e mi sentii, fumando nudo disteso al buio, un idiota.

E il soffitto assumeva forme indefinibili, tanto da diventare una vagina XL, che mi risucchiava in alto fino a vedere il cielo. Stavo lì, sguarnito. Rinserrato in sospensione aerea per lunghe, lunghe notti… senza i giorni… Piovve.
Volevo correre in strada… sarebbe stato dolcissimo costiparmi. Desiderai tutta l’acqua di Dio schizzata addosso dalle auto, ma…
nulla era vero.


___



Sgorbiare è ormai un refrain
a compenso del dolore
e di ostati uzzoli ustori…
Ne morirei
se fosse solo un qualcosa
di maledettamente naif


___



Potendo por mano alla turba
di sedicenti cantori
inizierei occultando la luna
e, simultaneamente
a tutte le ovvietà,
i logori fiori.

L’intraducibilità di un
purchessia senso
in loquela,
ha di un per sé
imperativo.

Indi,
se andassimo tutti
a pesca
o a farci sfottere,
salubre sarebbe
il ricusare l’insidia, pria
a pro d’una dottrina
ex onerosa d’onta.

Antilogia


___



Si sa:
l’eccesso in diletto
è principio d’inconvenienza
e il difettare in sacrificio
scaturigine di svantaggio
Grinze, nessuna
e così, perpetuando i tempi

Non redarguitemi
se, alle tediose mediane
eccepisco perentoria discordia

A saperlo mi sarei suicidato
da spermatozoo.


___



Rumino gli anni, i secoli
gli attimi mai propalati

Un giorno, giuro! ti darò fuoco
melanconico autogiullare
ventre a diposo
cazzo penzoloni

Dolce, sweet inferno porno
sfrenato obliquo, mai parallelo

Lungo la lunga notte sbranerò la tua emicrania, Tesoro
Bastardo mai genuflesso
voltati, che ti mordo la canottiera nuova
in un sol minore dodicesima

Ti soffocherò, castrato, col tuo stesso vomito
Mezzo figlio
neanche ½ pollice da mettere in bocca

Disturbi neurovegetativi
Mezzo animale
al seguito e inseguito da evitabili (?) ossessioni:
luna, maccheroni e jazz; end of the month, death e
bla bla bla…

La sommatoria di tracolli, a trilioni
Mezzo amanuense
sedotto dagli apostrofi d’Ungaretti, indarno illuminato
nell’altra metà inesistente
Metà cercatore di Dio
Mezzo padre
in ginocchio su bufere di ragnatele

Infrangiti, adesso
mezzo nudo
disfami di una metà…
Perdonatemi.

Luna, maccheroni e jazz


___



Frastuono di un caravanserraglio di prostate che danzano nella fogna delle impossibilità, divorate una alla volta da un grande drago di merda e in contrappunto un profumo filodermico di sandalo, esalato dai capezzoli bionici del Mediterraneo. E io qui, fune delle quinte senza fondali né palcoscenico, solo. In un non luogo, penso di fare una doccia.

E a mano a mano che l’ormai peloso lavandino
diventa barbara scansione del tempo
il capo si china
a culo scoperto
in attesa del boia

Coordinate in ogni latitudine
Fulcri polverizzati in atomi
di astrazioni vulnerabilissime

Io massa
Amaro mio equalizzatore

Apeiron impotente
giungimi a stupore efficace

Infino l’ordinato alternarsi dei contrari
ha occorrenza di dolcezza
Io,
di un po’ di luce.

Piagnisteo n° ennesimo


___



E sono sempre gli stessi
a ridersi nei calzoni:

i Tipi che, con un litro al secondo
spompati,
glissano sulla tua cellulite

Che, senza le impronte digitali
e l’alito pachidermico,
dicono di un gran bene del caro ex-tinto

Che questa notte, dalla via lattea all’anale
esprimono desideri
sul barbecue di San Lorenzo

Che fanno il tifo per l’ora legale
e annusano le foto del bioritmo

Che transennano le erre mosce, Wilde e Pasolini
per profilassi

Che, in loro assenza, si autosostituiscono
e vanno a LA Merica nel tinello

Che giurano di aver visto il leitmotiv
e consigliano l’acquisto di ½ libra di bon ton

I Tipi che, sollevati dall’incarico di amministrare
le anime dei cercopitechi in cattività,
si trasformano in souvenir

E Noi, birichini
che questa notte non finisse mai,

faremo muro al grande fungo.

Secolo XXI


___



Sagome di cimiteri bulgari
di cristalli fuxia
immersi in acque solide
di un glauco rabbrividente

Desti vaneggiamenti di morti
in bianco e grigio
senza essenza
dall’ambigua mimesi

Scarpe bucate
e prematura calvizie
a 190 decibel di foia
tallonano duemila metà di libri
e armadi Luigi XVI
per zapparli di singulti

…di un perdigiorno che ha scoperto
l’ottica erotizzante delle veglie funebri
lo zeticismo
e il viversi dilettante

Cristo! Questa scimmia congenita
a groppa di una libido dislessica,
mi scombuglia

e pago.

Tirar tardi


___



Triste. Come le fumiere d’oppio a Saigon
e l’araba fenice

Come la coerenza integrale
e la processione dei misteri

Triste. Come il sesso malpronunciato
la memoria ruffiana
e lo sperma nei tuoi capelli

Come la grafia degli ergastolani
e la scatola nera sul Sinai

Come lo sforzo di sollevare un inganno
e il coito degli asessuati

Come il mare nel termosifone
e la sieropositività peccaminosa

Triste. Come gli spifferi di lerciume
di bigotte cavità orali
pregne di assoluzioni asperse.

Sdogma


___



Inconfondibili rossori
e affanni

Impavido eroe dell’oblìo
braccato

Stupido ragazzo
amore senza rete
caduto

E noi qui
rabbia per la beffa
dolore muto

Quante sirene al guinzaglio
dolce mandriano abbattuto

Quanta forza avevi
e quanta
la voglia di andare

E per te
questo applauso
di saluto.

Ovunque tu sia


___



25, quarantasette, 52, novecentodieci, anche di più, e non solo.
Perché?
E ancora: 96, settecentocinque, quattordici,150.
Non è un’esercitazione d’aritmetica, né pecorelle. E ancora, e poi ancora: settantadue, 129, 60, trentasette. Uno stupido ozio, ottanta, 1, duecento, mille anni dentro questi attimi e…

Forse è la notte che non basta
Il cielo che scappa via dal buio
Le erezioni soffocate
I versi non scritti

Forse è la notte che non basta
I gatti arrapati
Il cielo che scappa via dal buio
Il mio diario bruciato

Forse è la notte che non basta
E bombardano dappertutto
Fiumi che non sfociano mai
Il cielo che scappa via dal buio

Ratti tristi
Alcove pigre
Insonnie in catalessi

Inermume totale.

Il vecchio barbone, nei suoi cartoni, accenna una nenia di catarro e rantoli osceni…
e scappa via dal buio.

Forse è la notte che non basta



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E vado giù, sul foglio:
mi litigo
mi canto
mi soffro.

Io so che l’arte non dimora qui

Ma Tony, bocca di martello
non ci sta, e dal palco dardeggia
i miei versi e inchioda tutti
salvo gli inquieti che scappano
alla parola cazzo

Ho pianto.
Lui sì, ch’è un artista vero
un animale scenico contagioso
un principe scommettitore folle

A lui devo l’aver conosciuto
L’uomo dalle suole di vento,
il Juke box di Allen e Anni nel caos

E se, a quast’ora della notte
ho ancora voglia di scrivere
è colpa di un suo delizioso disordine bolognese
al 20 di via Mascarella.

A Tony Volpe


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L’Hammound squarcia l’alone fumoso
della sala, con accordi adescanti
Il basso gli romba soft intorno
come un’amante gentile

In un crescendo vibrare di cimbals
la batteria adagia una sibilante stuoia
al fondo dell’urlo struggente della chitarra
-dopo lo stppìo di mezzanote-

Sotto di noi l’animalario sudaticcio
scioglie il suo fard in coppe di pessimo spumante
scimmiottando in un ballo oltraggioso il nostro blues
tra auguri, audiolingue e frizioni montivenerei

Tutto sembra d’arte felliniana:
la rossa dai tacchi argentati a spillo
mi mostra i denti da lombrico e la sua
acidità ascellare, per la terza volta
Purulenza gratuita di san silvestro

Ragazzi, mettiamo il ’73 in salvo da qui
che ce ne quanto basta a dar di stomaco
per un anno intero.

Suonavano i Betsabea


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Inauditamente prodottasi
a guisa d’aggregato urbano
la moltitudine di questo colle
sonnecchia o finge
disgiunta dagli accadimenti

Tutto non muta, come l’anno passato
e l’altr’anno e l’altr’anno ancora…
play back

Imperituro non moto
di assenze e marmitte
tra il municipio, la piazza e via Roma

L’altoparlante della chiesa madre
nell’abbandono effonde
graffi di campane al vinile

Dietro i vetri, l’uggia
si tinge di pomeriggio
sul piovono bronks

I funghi e la gioia
si sono mostrati poco attendibili
quest’anno

L’inverno, minaccia di rigido.

Da noi


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Mite e velenosa interlocuzione
di satelliti distanti, tristi di testa.

E’ di giovane sangue le diverse
forme del male Pericolo!

Satolli di noi, troncanti nei jeans
ludibriamo l’agonia dell’asina bianca
Noi si brucia più in fretta di ieri.

Facciamo della primavera una
polemica ideologica, della verità
un guasto etico.
Di noi, uno schifo d’antropofagia.

Totale è stato del volgo la coadiuzione
a questo suicidio civico collettivo.

Politic


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C’è fame d’opulenza
di locuste giganti
a mo’ di turchine
nelle stanze dei bottoni
E interminabili trincee
sanguinolenti

Bandiere fuoriuscenti
da viscere di vento
e brina cremisi
su campi di vene vacue

C’è sconcerto
per questi adorati figli
precari esseri
indifesi da noi

C’è una stintissima luna
che preme inespugnabili vetri
a voler interdire
il bollettino della notte

C’è un mesto filare di Pilati
convulso
in lizza
per l’impetrabile ultima chance

C’è evanescenti morti infantili
copiose
chiuse fuori all’addiaccio
beffate anche
da un limbo infondato

C’è…
C’è che devi farmi
una domanda di riserva
perchè…
C’è una finestra senza Dio
dalle parti di Roma.

Planet 2000


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Simula il tuo Dio
in un respiro

da tempo i miei paternoster
hanno abdicato
in favore delle baldraccagini

Fammi un disegno dell’utopia
o di un coma

e scopami
ho disertato per questo

Lascerei al nemico
annettersi tutta la costa
per averti qui

Forse lui si è già messo
a testa in giù
nel tuo utero

e io, ultimo il mio sangue
in Europa.

Gorazde


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E ora inarcati
anima mia
e umorami
più che puoi
che non ne posso più

Siamo soli
Nella mente
schifo e divino
a turno
si superano

Uomo decomposizione

Fragorosi bagliori
canti sinistri di ferraglia
dilagano

Vedi,
non siamo riusciti
a pantofolaie
il planetario contendere

E inarcati ancora
anima mia
fin che puoi
che non ne posso più

Uomo decomposizione

Siamo soli
Nella mente…

Tutto ciò
come tutto il resto
c’indispone.

Volevo farne una canzone


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Creature deiformi
verranno dal mare
in dorso ad anfibi sauri celesti

salperanno le sponde d’Europa
e si uniranno in arbitrio agli
umani donna

And me at last
father of myself…

Propizi batteri fulminei
erigeranno faraglioni kamikaze

Il mare avrà sette code
e la terra, le code del mare

And me at last
father of myself…

Esulteranno le etnie erranti
sul pianto dei signori dell’apocalisse

Mille e mille zattere di giada
in festa
per la dissoluzione di culti fallaci

The sea will have seven tails
and earth sea’s tails…

E io, da ultimo…
padre di me stesso.

Sproloquio


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E un grande falò
renderà servigio
alle posterità

Ci daremo in pasto
alle notti di Cabiria
e alle donne di Lemno

Arderanno le distanze
le cause del pianto
e i peni degli Dei

Arderà, per causa propria
l’insania bellica
e
finalmente

non avrò più paura
di addormentarmi.

Big falò


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Folle soliloquio da iugulàre
nella notte sistematica.

I muri hanno il compito
di randellarmi le falangi
e intridersi del mio strazio.

A due ore dall’aurora
gli arcghi, gli ottoni
e il pianto della nebbia
di una notte troia, in una cuffia hi-fi
mi doppiano il tempo
e mi triplicano il desiderio
del ritorno
all’amniotico caveau.

Domanda insonne tachicardia:
Cosa siamo? Se non, la sintesi fluida
di una fottuta, condensata poi in rughe
di paure e rinfuse geometrie mentali?

Dolcissime mandarine, concepite di frodo
lasciate putrefare dal vecchio Deng.
Piccoli fiori di carne romena, senza nome
insierati HIV dal caro Nicolae.
Il monito francese nei perlacei fondali
di Polinesia. La gran frullana dei balcani.
L’inutile carnaio conghese.

Non posso amarti questa notte
In cento angoli della terra
e nella terra di Cristo
s’intrecciano botti
in un unico
seducente, disgustoso mutilare

mentre fuori
l’impeto dell’agone virtuale
insanguina roventi cuori d’asfalto
fianchi di telefonini cellulari
copule multimediali.

L’intero intorno -intento alla suzione
di adulterati gargarismi di giudicanti
e pennaioli- brama l’arrivo dei
dissotterratori di tomahawk, come
alibi pro-redenzione.

5000 prove d’acquisto di pappagatto
e l’imbecille televisivo ti regala le
Mauritius… E musi neri e gialli e
Bianchi forzano la porta. Sono in
Salotto, in cucina: frugano in frigo…
Fermateli!

“Ad ognuno la sua pezzuola di brago”
proclama il legaiolismo.

“Inezie,”
rimbrotta l’intrepido skipper in bicicletta
fronteggiando il recedere,
“a quanti sopravvivranno, è sicura la terra promessa”

E, al secondo classificato
come è consuetudine, gli sarà offerta
la revoca dell’esistenza, mediante
bagliore di supernova, suppongo.

Ma forse,
nulla è così disdicevole
di come può sembrare all’inizio
Se non peggiora.

Nell’ipotesi seconda –previdenti-
acquisteremo più indulgenze possibili.

E così, senza tiri mancini
né disordini, né Olocausti –mediando
il tutto tra il villaggio globale e la
repubblica del condominio-
guadagneremo l’etrno internet.

Chissà…?
Intanto, io volo
senza il timore del marciar
di mestiere… volo!

In un volo pseudoterapico
alla mia nevralgia patologica
versificando storditaggini, bestemmie e codardie…

Volo,
perdendomi tra musica

versi

e te.

Puzzle


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E se, non è per nulla vero
che noi si vive?

Questa potrebbe, invero
essere una non-dimensione
tra gli anni luce.

E perché soffrire, se è solo
un movie lontanissimo?
Swinghiamo, adesso.

Come si può pensare
per un attimo
allo stesso attimo?

Che pena.
Mi sono visto, da vecchio
in un’altra galassia
ed anche lì era una realtà
virtuale.

Ma dove siamo, realmente
adesso?

Provo a lavarmi i calzini
per dimenticare… Macché!
E’ una continua implosione
come cercare un vuoto nello
spazio.

E allora, proviamo con la guerra.
Ecco. Questo potrebbe essere un
modo originale.

Hei, non pensarci.
Domani, svegliami con un bacio
e un caffè.

Dubbi


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Ho sognato una fila interminabile
di genti
Veniva tutta in pellegrinaggio
nel mio cassetto
“E’ buffo” ho pensato

All’uscita erano tutti senza
la testa
e ho pianto di gioia


___



Semmai fosse utile,
Signore,
rincorrere la propria nuca
non giustifica tutto il tempo
tra il liquido fluire e l’inerme polvere.


Nunzio Tria